18 settembre 2009

guarda che luna, guarda che prato

- amore, guarda che notte stellata e che luna... erano anni che desideravo avere di fianco una persona come te!


- guarda che non è la luna, è un faro. E quelle non sono le stelle, è un telone scuro, riflette la luce intorno.

- ma che importa? siamo io e te, in questo giardino in riva al mare....

- l'erba è sintetica e quello è un bacino artificiale.

- amore mio, quello che conta è sentire le cicale e respirare quest'aria frizzante insieme...

- quelle che senti non sono cicale, è un nastro registrato. Che l'aria sia frizzante, ci mancherebbe: c'è l'aria condizionata.

- insomma, amore mio, intorno a noi sia quel che sia, ciò che importa davvero è il nostro amore

- il nostro amore non è altro che un'operazione commerciale ideata dal reparto interno per lanciare una nuova marca di tonno.

-ah

12 settembre 2009

Vorrei iniziare con una riflessione sul marketing post-moderno

Ma oramai lo faccio ogni volta. Quindi parliamo d'altro.


Un breve accenno -necessario e indispensabile come il sale nell'acqua della pasta- è per gli amici ritrovati un po' qui e un po' là, sotto la pioggerella estiva che sorprendeva bagnanti e barcampisti e sotto la pioggerella estiva che sorprendeva festeggiata e festeggianti.

(Forse porto un po' sfiga.)

Ho qui un post tra le bozze da così tanto tempo che se aspetto ancora un po' impara a cliccare da solo su publish. Il post risale a qualche mese fa, quando ancora non avevo esperito il mite clima estivo milanese e quando il mio equilibrio mentale era... vabé, insomma, è da un po'.

La riflessione nasceva là in quell'edificio estraneo ma dal nome familiare. Così affezionata alle sale della più rassicurante Modern, con la lounge dalla quale si abbraccia Saint Paul, recarmi a passo deciso verso la più classica Britain è stata una prova di forza. Ho un'attenuante che userò come scudo concettuale: a trascinarmi fin là è stata Altermodern (ma soprattutto il suo sottotitolo, postmodernism is dead).

Della quale non parlerò.

Parlerò invece di un argomento inedito e inaspettato, ovvero del mio incontro con Turner.

No, non in persona. Io sono ancora viva, o così almeno conferma l'anagrafe.

Parlerò di Turner e di quanto Turner mi faccia tenerezza. Ma parlerò anche di Rothko, come sempre male. D'altra parte che non ci siamo mai piaciuti è ormai sulla bocca di tutti ed è riconducibile a un vecchio (e per fortuna subito riparato) errore di gioventù.

In compenso amo Turner. Turner è a suo modo un po' genio, un po' scienziato e molto autodidatta. Sperimenta, ama, distrugge. Assolutamente adorabile.

Certo è che qualche problemino lo ha avuto, per esempio ha convissuto con un problema di sicuro terribile, disimparare nel tempo a dipingere figure umane. Deve essere stata dura. Turner aveva anche un po' il problema della nebbia, me lo vedo strizzare gli occhietti cercando di capirci qualcosa e alla fine dipingere un po' a cazzo e quello che viene viene. Ma in fondo Turner è tenero: figurativo, un po' schizofrenico e mezzo dark. Già me lo vedo nella sua intimità, con il pantalone sceso e il panama al contrario, mentre guarda la tela col broncio e regge con la stessa mano birra e pennello. Per queste e altre ragioni che non sto a sviluppare in questa sede ritengo che Turner sia il mio simpatico creativo emo preferito.

In compenso, a rovinare questo idillio, in una delle sale erano appese una crosta di Turner e una di Rothko. Ma dico, sono qui che faccio i cuoricini nelle tele di Turner e improvvisamente inciampo in quell'altro. In compenso, anche Rothko ammirava Turner, al punto di aver regalato alla Tate alcuni dei suoi murales. La prima volta che Rothko vide alcune opere di Turner al Moma, con la sua solita modestia, dicharò: This guy Turner, he learnt a lot from me.

Ma basta parlare di Turner, parliamo di me.

Come alimento prossimamente a Milano la mia fame artistica?

03 settembre 2009

Di vacanze, nausee e meccanismi inceppati

Inizia una nuova stagione, tornare al lavoro dopo le ferie è un po' come tornare a scuola, stesso entusiasmo nel rivedere i compagni di classe e stesso naso storto davanti ai primi compiti a casa.


(poi, c'è da dire, tre mesi in confronto a due settimane, è davvero un'altra cosa)

(lettore, non ti distrarre, che stavo dicendo altro)

Dicevo, tra i compiti a casa si riprende anche a leggere di web in modo sistematico. Perché tanto lo so che i più, in ferie, hanno abbandonato (o avrebbero desiderato, via) i socialcosi per andare in quella spiaggetta dove l'unico problema era decidere quando era il momento giusto per rigirarsi.

Leggo di web, qua e là, in modo sistematico, così come più sistematicamente gli spunti si intrecciano nella mente.

Tra le altre cose, leggo di nausee.

E penso: facciamo un passo indietro e ripassiamo il processo. Lo scopo di azienda è vendere (il prodotto, diciamo, X), azienda ha un budget (Y) per vendere più prodotti X, azienda sente parlare dei miracoli socialmediali, azienda, non sapendo che pesci pigliare, si rivolge a Z, il cui compito morale è far capire ad azienda il valore di tutta quella roba lì (perché ce l'ha, lo so io così come lo sai tu), azienda si fa due conti e succede che...

...ora, lettore, tocca a te. Dimmi tu cosa succede. Io una mia idea ce l'ho, se leggi più sopra ti accorgerai che ho cominciato dicendo: lo scopo di azienda è vendere il prodotto X. Perciò, dimmi un po', perché dunque il risultato è l'intolleranza diffusa verso azienda? Il meccanismo si è inceppato, ma siamo sicuri che stiamo esaminando l'ingranaggio corretto?