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03 settembre 2009

Di vacanze, nausee e meccanismi inceppati

Inizia una nuova stagione, tornare al lavoro dopo le ferie è un po' come tornare a scuola, stesso entusiasmo nel rivedere i compagni di classe e stesso naso storto davanti ai primi compiti a casa.


(poi, c'è da dire, tre mesi in confronto a due settimane, è davvero un'altra cosa)

(lettore, non ti distrarre, che stavo dicendo altro)

Dicevo, tra i compiti a casa si riprende anche a leggere di web in modo sistematico. Perché tanto lo so che i più, in ferie, hanno abbandonato (o avrebbero desiderato, via) i socialcosi per andare in quella spiaggetta dove l'unico problema era decidere quando era il momento giusto per rigirarsi.

Leggo di web, qua e là, in modo sistematico, così come più sistematicamente gli spunti si intrecciano nella mente.

Tra le altre cose, leggo di nausee.

E penso: facciamo un passo indietro e ripassiamo il processo. Lo scopo di azienda è vendere (il prodotto, diciamo, X), azienda ha un budget (Y) per vendere più prodotti X, azienda sente parlare dei miracoli socialmediali, azienda, non sapendo che pesci pigliare, si rivolge a Z, il cui compito morale è far capire ad azienda il valore di tutta quella roba lì (perché ce l'ha, lo so io così come lo sai tu), azienda si fa due conti e succede che...

...ora, lettore, tocca a te. Dimmi tu cosa succede. Io una mia idea ce l'ho, se leggi più sopra ti accorgerai che ho cominciato dicendo: lo scopo di azienda è vendere il prodotto X. Perciò, dimmi un po', perché dunque il risultato è l'intolleranza diffusa verso azienda? Il meccanismo si è inceppato, ma siamo sicuri che stiamo esaminando l'ingranaggio corretto? 

19 marzo 2009

Buzz in rete: è sempre necessario?

Gli effetti della "serata Actimel" (i video di Delymith dell'evento) si sono fatti sentire. Negli ultimi giorni, a seguito di una divertente discussione riportata da supercazzola, amici e conoscenti si sono dati da fare su friendfeed per commentare l'iniziativa e hanno preso spunto per discutere su cosa si può migliorare, su come le aziende si dovrebbero porre, sull'efficacia o meno di avviare iniziative duepuntozero per alcuni prodotti. Gianluca scrive la sua opinione, indicando che forse si migliorerebbe l'efficacia delle iniziative spostando l'interesse a monte, Nicola mette in evidenza un punto interessante, ovvero che con tutto quello che il marketing "inventa" per cercare di rendere unico un prodotto tutto sommato simile ad altri sul mercato, diventa difficile distinguere prodotti qualunque travestiti da innovazioni da prodotti veramente innovativi (e qui non entro nel merito perché non posso chiaramente sapere quanto il prodotto specifico sia veramente innovativo). In risposta ai thread di friendfeed, Andrea Febbraio, CEO di Promodigital, l'agenzia che ha seguito l'iniziativa di buzz per Danone, pubblica un post in cui sottolinea che l'iniziativa è stata condotta nel rispetto delle regole di trasparenza del womma.


Due o tre punti che vale la pena sottolineare e che (forse) non sono ancora stati sviluppati.

Premettendo che sono tutto sommato d'accordo con le opinioni di Gianluca e Nicola (nella misura in cui sostengono che probabilmente non tutti i prodotti sono adatti a questo genere di promozione nell'ultimo miglio), mi piacerebbe concentrarmi sulla singola iniziativa riportata da supercazzola, per capire come è stato possibile generare un tale concatenamento di commenti ironici mandando a monte il tentativo di conversazione sollecitato dall'agente di Danone. I problemi principali dal mio punto di vista sono due: approccio e contesto.
  • Approccio. L'agente di Danone fa la sua comparsa nel forum, spiegando chi è e cosa ci fa nel forum (+1 punto trasparenza). Ma sbaglia completamente il modo: parla in brochurese, scrive sempre il nome del prodotto per esteso, non accenna a rilassare il linguaggio neanche dopo le prime (prevedibili) frecciatine. Il tono è innaturale e la proposizione inaccettabile: è probabile che i frequentatori del blog abbiano visto l'irruzione come aggressiva e fuori luogo, aggressione contrastata con la naturale impermeabilità della rete a ciò che è ritenuto spam (ovvero informazioni non richieste). La conversazione non trova uno sbocco e il tutto prende un sapore di interruzione pubblicitaria cui finalmente si può rispondere a tono.
  • Contesto. Dal modo in cui viene bistrattato l'agente, sembra chiaro come l'avvio della conversazione sia stato fatto senza una sufficiente reputazione nel contesto specifico. Il riconoscimento reciproco dei singoli attori del contesto ha invece fatto in modo di creare numerosi assist per altri presenti, che si sono rimbalzati la palla tra loro, costruendo mano a mano una conversazione sempre più ironica e dissacratoria, in modo da escludere chi ha invaso il loro territorio.
A questo punto, sarebbe interessante proporre delle generalizzazioni. Tenendo sempre presente il punto di partenza, ovvero che ritengo che non tutti i prodotti siano adatti a qualunque tipo di conversazione, credo che in una situazione di questo genere potesse essere fatto un altro passo.

Mettiamo che il livello 1 sia costituito dalla pubblicità (informazione a una via, assenza di comunicazione bidirezionale) e il livello 4 dalla condizione ottimale (in cui c'è interesse reciproco ed esiste una conversazione di valore per entrambe le parti). Questa situazione potrebbe essere al livello 2 (presa di coscienza dell'importanza della conversazione, ma sostanziale inestricabilità della comunicazione dalle logiche di marketing e dal linguaggio aziendale). Il livello 3 potrebbe essere costituito dalla conoscenza e relativo inserimento nel contesto e dal'utilizzo del linguaggio locale, con cui intendo il linguaggio proprio di quella community o tribù.

Non avendo dati alla mano, non posso ovviamente verificare se lo spostamento del piano comunicativo avrebbe evitato lo sbeffeggiamento dell'agente, ma sono convinta di sì. Una reale mancanza di interesse per l'argomento specifico evita il passaggio di livello da 3 a 4, ma questo dipende dall'argomento in sé (o dal prodotto in sé) più che da miglioramenti successivi nella comunicazione.

In buona sostanza, credo che Mafe abbia ragione quando dice che le aziende che provano a conversare vadano incoraggiate anziché derise, ma credo anche che il caso specifico avesse tutti i presupposti per diventare un esempio di quello che è solo il primo passo della conversazione in rete e che i presupposti contestuali rendessero inevitabili le conseguenze. Non si tratta di essere più o meno buoni con le aziende che conversano, si tratta di prevedere che l'interesse delle persone in rete (quasi mai di tipo economico) vada aldilà delle logiche aziendali e che condizioni ambientali di questo genere provocheranno sempre reazioni di questo tipo. I presenti alla discussione avevano gli elementi per condurre il gioco e ne hanno tratto qualcosa di molto poco economico (divertimento), per quale altra ragione avrebbero dovuto dare un contributo a una conversazione che in quel contesto non aveva riscosso successo?

10 marzo 2009

Houston, le aziende hanno un problema (con le conversazioni)

Houston, abbiamo un problema. Da quando le persone hanno trovato il modo di aggirare un po' di pubblicità (vuoi con i videoregistratori, vuoi con internet, vuoi con altri sistemi), chi si occupa di marketing ha cercato a sua volta il modo di aggirare le difese dei consumatori. Dal buzz e viral marketing più o meno aggressivo, ai fake blog, allo steal marketing, negli ultimi anni abbiamo assistito a un cambiamento di rotta nelle strategie e negli strumenti. Come a dire, se il ROI si abbassa, frammentiamo i budget e tentiamole tutte.


Parliamo di conversazioni. In rete, in particolare, le tecniche maggiormente utilizzate sono sostanzialmente due: entrare nella conversazione o innescare la conversazione. Gli ibridi che ne sono derivati sono: sponsorizzare una conversazione già avviata o avviare finte conversazioni.
Mi spiego meglio con alcuni esempi.
  • Entrare nella conversazione. Una Dell decide di entrare nella conversazione scendendo dal piedistallo e andando a rispondere direttamente alle critiche che gli vengono rivolte (salvo poi accentrarle in un luogo più "gestibile" come un corporate blog).
  • Innescare la conversazione. Una Ducati decide di avviare una conversazione quando dà agli appassionati delle sue moto un posto dove discutere tra loro e comunicare direttamente con il brand.
  • Sponsorizzare una conversazione già avviata (in senso ampio, il che significa: usare tecniche già sperimentate da altri oppure brandizzare luoghi di conversazione esistenti). Una T-mobile utilizza il meccanismo del flash mob per girare un proprio spot.
  • Avviare una finta conversazione. Una Wal-Mart sponsorizza segretamente un blog di una coppia di viaggiatori che recensiscono negozi della catena.

Qual è il sistema più remunerativo?

Sicuramente in un ambiente in cui la reputazione e la trasparenza sono primari, l'ultimo sistema è quello più facilmente smascherabile e che porta all'azienda una quantità di pubblicità negativa difficile da gestire o controbattere (no, "bene o male l'importante è che se ne parli" per le aziende spesso non vale).
Il sistema della sponsorizzazione funziona se l'idea è molto originale e se l'azienda ha le giuste capacità per spingere l'iniziativa, in ogni caso occorre che l'azienda sia davvero attenta a quanto accade soprattutto in rete per cavalcare l'onda fin dall'inizio e ricavare la massima visibilità dall'iniziativa.
Per quanto riguarda l'avviare VS partecipare alla conversazione, occorre conoscere molto bene il mercato di riferimento e avere una visione chiara delle aggregazioni esistenti (esistono già community forti? Il tema è sentito? Quali opportunità non sono già state esplorate?) per capire se il bisogno è latente e può essere esplicitato mediante la creazione di un supporto oppure se un nuovo sistema entra direttamente in competizione per l'attenzione, con scarse probabilità di ottenere risultati significativi.

In tutto questo, quello che continua a stupirmi è come i marketer impieghino una quantità spropositata di risorse per "aggirare" le difese anziché addentrarsi (anche con circospezione, assaggiando un po' di questo e un po' di quello) nei social network. D'accordo che la qualità delle conversazioni non è altrettanto misurabile come la quantità del traffico generato, ma è davvero troppo infantile pensare che il secondo sistema sarebbe infinitamente più semplice?

26 febbraio 2009

Sociologia e marketing del parrucchiere del sabato mattina

Ora sono abbastanza grandina da poter dire queste cose. Ho sempre ammirato le signore che tutti i sabato mattina se li passano dal parrucchiere, soprattutto se il parrucchiere non riceve su appuntamento, il che significa che la fila inizia ben prima del sollevarsi della serranda. Capitemi, sono cresciuta in un paese piccolo, il rituale del parrucchiere del sabato mattina è più sacro di quello delle lasagne la domenica a pranzo.

La mia è pura e vera ammirazione. Il sabato mattina, nei paesi piccoli come il mio, la quasi totalità delle madri di famiglia con figli più o meno adulti si sparpaglia tra i vari parrucchieri del paese (duemila abitanti, tre parrucchieri) e contribuisce così a perpetuare una serie di fenomeni che andiamo senz'altro a descrivere.

  • Tribalità. I parrucchieri hanno pubblici molto diversi, la concorrenza è sostenuta dall'identificazione nel brand. I clienti sono fedeli e motivati, nessuno cerca di pubblicizzare in maniera più o meno esplicita la propria scelta ma ciascun brand ha un'impronta ben definita. A seconda del taglio di capelli e della messa in piega, in qualsiasi giorno di qualunque settimana dell'anno è possibile individuare la parrucchiera di fiducia della tal signora.


  • Espoliazione dell'identità. Io non so voi, ma ci sono cose che non mi fanno sentire completamente a mio agio, tipo ritrovarmi improvvisamente in pubblico mezzo minuto dopo essermi appena svegliata. Ecco, immaginate ora cosa dev'essere farsi vedere da tutti quelli che ci vedono sempre in perfetto stato con bigodini, punte sparate in aria dallo shampoo, stagnole o -peggio- cuffie per colpi di sole. E, nonostante questo, scambiarsi con nonchalance le ricette per il pranzo della domenica. La reciprocità della situazione aiuta a fare in modo che il disagio non alteri le conversazioni, ciò nonostante l'atto di "espoliare la propria identità pubblica" davanti a un ristretto (e ricorsivo) numero di persone genera qualcosa simile all'identificazione nel gruppo. A ciò occorre aggiungere che l'ambiente così condiviso genera un senso di parificazione sociale. La bracciante e la moglie del sindaco, con i bigodini in testa, sono uguali. Perlomeno per quella mattinata.


  • Concentrazione di potere. Non si tratta di femminismo spinto, ma molti degli uomini che ho in mente senza la propria donna farebbero fatica anche a cambiarsi i calzini. Sì, lo so, è una mentalità da paese, ma io l'avevo anticipato da dove vengo, quindi non lamentatevi. Quello che invece conta è che nel negozio del parrucchiere, il sabato mattina, si concentra molto più potere di quanto non ci vogliano dare a bere i summit internazionali. Vi prego, mandate per una volta le mogli dei presidenti più influenti dallo stesso coiffeur nello stesso momento. Secondo me è così che finiscono le guerre, altro che trattati di pace.


  • Buzz. Sì, succede anche dal droghiere. Sì, anche al mercato. Ma la spinta che il buzz offline subisce a cadenza settimanale è qualcosa di speciale. Si parla di "discorsi da parrucchiere" quando si vuole indicare un miscuglio leggero di argomenti poco impegnati e gossip. Le donne il sabato mattina si rilassano, ritagliano un momento per sè dopo aver dedicato la settimana intera alla famiglia, vogliono godersi qualche ora di libertà. Noi abbiamo il solitario o il campo minato per svagare la testa, loro hanno il gossip di paese. Le chiacchiere del parrucchiere sono un effimero mensile femminile che serve a rafforzare le relazioni sociali e, perché no, imparare qualche trucco su come togliere l'acido della passata o come piantare i gerani. E anche su quali prodotti comprare, perché no. Donne con potere d'acquisto che si appoggiano alla propria reputazione per commentare questo o quel prodotto. Le chiacchiere da parrucchiere sono il ceppo della recensione dei prodotti nei forum e nei blog.

23 gennaio 2009

Breve guida all'invio di mass email (marketing)

Inutile continuare a parlare di conversazioni e di mercati come conversazioni in un contesto in cui le aziende non sono capaci neppure di mettere insieme una mail da mandare a un database di indirizzi.

Sia chiaro, non ce l'ho con quelli che mi mandano mass email perché allungano la lista delle mail da leggere. Sarei ben contenta di farmi intasare l'account di informazioni rilevanti, senza dover spendere ore a cercarle in rete. Ce l'ho con una sola categoria, ovvero con quelli che non hanno idea di cosa stanno mandando e a chi, con quelli che ti rendono difficile arrivare alla seconda riga, con quelli che si autoincensano, perdendosi nelle parole che illustrano i loro stessi successi.

Questa guida è per voi. Quando mi arriverà anche solo una mail di mass marketing che sia in linea con la maggior parte di questi dieci (più uno) punti, saprò che c'è ancora speranza di parlare con le persone che lavorano nelle aziende e non solo con le loro brochure.

1. Il fatto che una mail mi debba passare sotto gli occhi non ti dà il diritto di approfittare del mio tempo.

2. Se proprio decidi di inviare una mail, comincia identificandoti. Sei una persona che scrive a un'altra persona, dimmi chi sei e fai in modo che possa verificarlo. Tu sai chi sono io, perché mai dovrei prestare attenzione a uno sconosciuto? Dammi qualche riferimento, un profilo LinkedIn, un blog, un account di Twitter. Se non sei nemmeno nel "Chi siamo" della tua azienda (o se la tua azienda non ha nemmeno un "chi siamo"), lascia perdere. Non so chi sei e non ho intenzione di starti a sentire.

3. Adatta il tono della tua comunicazione. Se hai una patente B e sai guidare un'auto, pretenderesti mai di saper guidare un jet? Non mi interessa quanti anni di esperienza hai alle spalle, se decidi di usare i social network per pubblicizzare le tue iniziative, tieni ben presente dove sei e con chi stai parlando. I tuoi toni ingessati e le tue moine non mi interessano. Lascia tutto alle tue brochure patinate e fingi di essere una persona che scrive a una persona. Faticoso, eh?

3 bis. Chiediti se sei in grado di farlo. Di nuovo, non mi interessa quanti anni di esperienza hai alle spalle, ogni contesto ha bisogno di determinate competenze. Se non riesci a sganciarti dal tuo ruolo incravattato, rivolgiti a qualcuno che mangia pane e social network. In questo modo eviterai molte figure barbine.

4. Contattare le persone direttamente e rischiare di avere risposte comporta un notevole dispendio di risorse. Se non sei pronto a dare valore (e a destinare un budget) a questo tipo di relazioni, lascia perdere. Mantenere un rapporto è costoso in termini di tempo e risorse. Se non sei disposto ad ascoltare dopo aver contattato le persone, cambia strategia.

5. "Ho letto il tuo blog e mi sembra molto interessante". Lascia perdere. Io so che la mia mail è finita nel tuo database, così come lo sai tu. Non raccontiamoci fregnacce. Vai al sodo.

6. Proponimi qualcosa di concreto, subito, ora. Se sono interessata, avrai la mia attenzione. La promessa futura di oro, incenso e mirra non mi interessa. Dimmi cosa devo fare se mi interessa, altrimenti lascia perdere.

7. Sii breve, perdio. Non mi interessano tutte le attività della tua azienda e tutti i suoi trascorsi. Se mi interessa, sono capace di cercarlo da sola. Non cercare di guadagnarti la credibilità mettendo tutto nella mail. Tanto la prima cosa che cercherò in rete non sarà il sito della tua azienda, ma l'opinione degli altri utenti.

8. Mettere un link al profilo di Facebook fa figo e non impegna. Ma se mi metti un link a un profilo privato, cosa dovrei farmene? Linka un profilo aperto o un profilo pubblico, in modo da farmi vedere chi sei. Se lo scopo è solo farmi vedere che sei un gran ganzo e sai usare Facebook, lascia perdere. Probabilmente lo so usare meglio di te e non avrò pietà nel cassare le tue future iniziative.

9. Rendimi facile il reperimento di informazioni. Il fatto che tu mi stia mandando una mail non implica il fatto che io beva senza fiatare tutto quello che contiene. Lasciami qualche link, fai in modo che sul tuo sito io possa vedere rapidamente le informazioni che cerco senza perdermi in redirect, musiche, download di brochure e .zip, frizzi&lazzi. Ho perso tempo nel leggere la tua mail. Se io perdo più di un minuto cercando di districarmi tra gli inutili fronzoli del tuo sito, tu avrai perso la mia attenzione.

10. Se nonostante tutto questo sei riuscito a fare in modo di farmi leggere la mail e farmi trovare il tempo per risponderti, evita cortesemente di mandarmi un'altra mail copiaincollata. Se lo fai, io mi sentirò doppiamente presa in giro. L'unico risultato che otterrai finire immediatamente nell'oblio e fare in modo che io racconti al mondo quanto sei arrogante.

28 settembre 2008

Di come eliminerò dal feedreader chiunque mi propini le solite pippe sul ROI

No, basta. Davvero, mi sono rotta le balle.

Oggi ravanavo nel mio feedreader per recuperare tre settimane di post non letti. A un certo punto mi trovo un link di Stowe Boyd che mi riporta a un post di David Cushman, persone per cui nutro enorme rispetto. L'articolo in questione, datato 17 settembre, si poneva il problema del ROI dei social media, aprendo la questione e passando il meme ad altre persone di tutto rispetto, tipo John Carson. La pippa è sempre la solita: il ROI è misurabile solo nel momento in cui non ragioniamo più per impression ma per engagement. Perderemo il 60% dei clienti insoddisfatti, ma il rimanente 40% apprezzerà la conversazione e una parte di questi potrà potenzialmente diventare un advocate del brand.

Ora, mi scuso con mamma e papà per aver usato una quantità eccessiva di termini inglesi potenzialmente privi di significato anche per chi lavora nel settore, se non per vantarsi al bar con gli amici, ma maledizione, com'è possibile che nell'era del duepuntozero e dei socialmedia e di sticazzi stiamo ancora a farci pippe sul ROI? Un'azienda che decide di entrare nella conversazione non lo fa per le impression, lo fa per instaurare un tipo di rapporto che prescinde dal suo sciantoso website anni '90 e dalle sue glitterate frecce luminose, lo fa perchè crede che fare business con sincerità è un mondo possibile, lo fa perchè gli interessa avere forse meno clienti, ma che quei clienti siano esseri a cui dare e da cui pretendere pari rispetto, lo fa anche perchè capisce che a un certo punto conviene instaurare un rapporto anzichè vendere un servizio con allegata una confezione di vaselina e sotto il prossimo. Come si fa a spiegare a un'azienda che non ha già all'interno il seme di questa cultura come funzionano le cose dopo che la rete è passata come un regolasiepi sulla sua reputazione?

Io, signori miei, attendo al varco. Aspetto che se un nuovo modo di lavorare si sta instaurando, si instaurino con esso nuovi metodi di misurazione oggettiva. Aspetto anche che qualcuno si inventi un modo per misurare la mia fedeltà alla Barilla o alla Nike, ma non rispetto ad altre marche, rispetto alla variazione della tinta di ciano o di magenta delle confezioni. Io aspetto, perchè se finora qualcuno è stato in grado di inculcarmi che un cliente fidelizzato è più remunerativo di un cliente occasionale, ma non di dirmi in percentuale cosa, come e quanto investire in relazione di questa percentuale, aspetto di sentire un oggettivo e misurabile sistema per stabilire quanto io amo la marca. Voglio formule e numeri. Voglio poter dire al mio capo, guarda, il fatto che il cliente x ci ami un punto percentuale in più significa che il nostro guadagno è esattamente di centoquarantadue euro virgola cinquantasei e che questo si ottiene con uno virgola sei twittate giornaliere in più, tre virgola due nuovi gruppi su facebook e otto virgola ottantaquattro plurkate in più l'anno. Altrimenti non state a raccontare storie, che io ho di meglio da fare, tipo togliermi la lanugine dall'ombelico.