Visualizzazione post con etichetta operazione tesi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta operazione tesi. Mostra tutti i post

30 gennaio 2008

Introduzione al web 2.0: libri e siti

I lettori abituali sono autorizzati a passare velocemente oltre e/o a segnarsi queste cose da una parte, che si sa mai, magari anche voi prima o poi vi troverete a dare suggerimenti ai vostri amici che vorrebbero cominciare ad esplorare la rete :)

Un altro post pensato per chi si avvicina per la prima volta ai temi del 2.0. Di seguito trovate quello che ho letto (o che sto leggendo, o che mi sembra buono per cominciare) e i blog che un anno fa mi hanno dato una mano a districarmi in giro per la rete. Se volete suggerirmi altro materiale nei commenti farete felici me e Marianna :)

Libri.
- La parte abitata della rete, S. Maistrello (una vera e propria guida della rete per i residenti e per i turisti del web)
- Blog Generation, G. Granieri (una bella panoramica sul mondo dei blog e sulle loro implicazioni)
- La coda lunga, C. Anderson (come le nicchie create dalla rete stanno cambiando la concezione dei mercati - da seguire gli sviluppi del suo nuovo libro in pubblicazione, Free)
- Wikinomics, D. Tapscott e A. Williams (utile punto di vista sulle nuove prospettive dell'economia legata ai wiki e alla condivisione della conoscenza)
- Web 2.0 – Le meraviglie della nuova internet, A. Dottavi (una guida pratica su quali sono e come si usano gli strumenti più comuni come Youtube, Flickr, Del.icio.us e altri)

Saggi.
In rete è possibile trovare i pdf di questi saggi, abbiate pazienza e googlate un po'...
- Lo sai quanto vale il tuo link?, G. Granieri
- Media sociali, N. Mattina
- The digitalization of word of mouth: promise and challenges of online feedbach mechanisms, C. Dellarocas

Blog.
Ok, ok, a che serve un blogroll se qui segno buona parte dei blog che leggo quotidianamente? Facciamo così, per cominciare ho iniziato a seguire quelli che trovate nel blogroll del mio (ormai ex) corporate blog. Da questa lista sono esclusi molti dei blog che nel mio reader stanno nelle categorie friends/relax. D'altra parte è così (cit. raffin.).

28 gennaio 2008

Introduzione al web 2.0

Ho recentemente avuto il piacere di rientrare in contatto con un'amica ed ex collega di lavoro che si sta avvicinando ai temi del 2.0 e che mi ha fatto un po' riflettere quando mi ha chiesto se le posso raccontare tutto ciò che so sull'argomento web 2.0 e aziende. Insomma, pensandoci ho scoperto che non so neanche da dove cominciare, nonostante effettivamente la relazione tra web e azienda sia l'argomento della mia tesi...

Così ho pensato di fare qualche post a tema sostanzialmente per due ragioni: la prima, per postare qui un'introduzione che avevo pensato tempo fa, per suggerire libri e condividere link, che possono essere di aiuto anche ad altri; la seconda, perchè credo molto nello strumento blog e sono sicura che qualcuno più competente di me che si trovi a passare di qui per caso avrà voglia di lasciare qualche traccia, qualche annotazione che ho dimenticato o a cui semplicemente non ho pensato. E per questo vi ringrazio in anticipo :)

Un'introduzione al web 2.0

Tempo fa girava in rete un meme. La domanda era: cos'è per te 1.0 e cos'è 2.0. Generalmente, gli utenti associano un oggetto o un'applicazione a 1.0 quando è statico, vecchio, poco interattivo e poco socializzante (radio vs last.fm, tv vs webtv). Fin qui niente di strano. Ma se poi andiamo a vedere che succede proseguendo con il gioco scopriamo che 1.0 è associato a qualcosa di vecchio (obsoleto) oppure tradizionale (videoregistratore vs lettore dvd, sci vs snowboard, piatto tondo vs quadrato). Il 2.0 è cool, non importa cosa sia in realtà, agli abitanti della rete spesso non importa quali sono i paletti che delimitano i due mondi.

Così il 2.0 diventa un feticcio, un etichetta da appiccicare a qualcosa di nuovo. Un esempio da ricordare sono le critiche ricevute dal Corriere che secondo alcuni si è definito 2.0 senza in realtà averne le caratteristiche. Il problema dunque è che tendiamo a definire tutto 2.0, senza badare troppo a quello che significa.

Ho provato a usare qualcosa di 2.0 come il blog per chiedere ad altri utenti cosa significa per loro questa espressione. Si è posto l'accento sul contenuto generato dagli utenti, che vede i fruitori dell'informazione diventare soggetti attivi nella produzione e nella diffusione, per poi definirlo attraverso quattro parole chiave: condivisione, collaborazione, partecipazione e personalizzazione, aggiungendo il fattore chiave della semplificazione delle interfacce. In tutte le proposte, la tecnologia ha un ruolo tutto sommato marginale, un "facilitatore del cambiamento" più che l'oggetto stesso della rivoluzione. L'accento è stato spesso posto sul fattore sociale. I miei commentatori non hanno tutti i torti, direi, ricondurre il 2.0 alla sola tecnologia potrebbe portarci a voler distinguere i servizi attraverso cavilli sempre più piccoli, fino a farci perdere l'evoluzione in atto. Il web 2.0 diventa dunque fenomeno più ampio, che prevede un'evoluzione sociale dei comportamenti e degli atteggiamenti. Non si parla più di applicazioni 2.0, si parla di un atteggiamento 2.0 che implica un nuovo rapporto con l'ascoltatore, un trattamento da pari, una voglia di confronto e di conversare, per migliorarsi a vicenda. Una soluzione per fare in modo che il risultato sia qualcosa di più ampio della somma delle parti.

23 gennaio 2008

Considerazioni sul rapporto tra aziende e conversazioni

Ciò che segue è un prodotto lungo e tutt'altro che originale di una serie di pensieri e considerazioni sul rapporto tra aziende e conversazioni. Abbiate pazienza, mi serve per mettere in ordine le idee in vista di un progetto più ampio (leggasi: tesi)

Qual è il fattore più lampante che emerge da tutta questa fuffa di web 2.0? Le persone, le loro storie, i loro interessi, le loro relazioni. Il prodotto più evidente di questo fenomeno sono sicuramente i blog (anche i social network, ma per ora sorvolerò). Dopo aver permesso alle persone di pubblicare liberamente idee e contenuti, permettendo allo stesso tempo un confronto diretto e paritario, i blog hanno lentamente allargato la loro sfera di influenza, fornendo preziosi contributi alla conoscenza, alla politica, al settore tecnologico e dell'informazione, ma anche alle aziende.

I blog aziendali sono al centro di un ampio dibattito sulla loro ragione di esistenza: come può un'azienda conversare liberamente senza rivelare all'esterno dati preziosi che fanno parte del suo core business? A mio modo di vedere, questo è un problema soprattutto di atteggiamento italiano. I blog aziendali sono all'estero una realtà in espansione che in Italia fatica ad affermarsi, un modello ripreso solo timidamente dai pionieri del Bel Paese. In Italia siamo scarsamente propensi a collaborare, siamo pregni di una cultura che riconduce all'assunto "informazione è potere", siamo così arroccati sulle nostre posizioni che il concetto di "scambiamoci un'idea anzichè una mela, perchè ne avremo due ciascuno" ci sembra così un gran bell'assioma che ci guardiamo bene dal metterlo in pratica.

Il blog è apertura pressochè completa. Ma teniamo presente che in un blog personale, benchè io possa parlare di me stessa, non sono obbligata a rivelare dettagli intimi, ma non per questo mi è preclusa l'opportunità di conversare e confrontarmi. A domande dirette, posso decidere di rispondere direttamente, rispondere indirettamente o glissare. D'altra parte, io non devo vendere niente, devo solo mantenere le mie relazioni con l'esterno. E così un'azienda, per il fatto di avere un blog aziendale, non è costretta a rivelare segreti indispensabili al mantenimento del core business, ma può rilasciare all'esterno una quantità considerevole di informazioni che le servano a mantenere le sue relazioni con il suo pubblico. Ma l'azienda è sul mercato per vendere, a domanda diretta non può mantenere il mio stesso atteggiamento. Solo che l'azienda ha due strumenti importantissimi che io non ho: uno, interi dipartimenti di PR di cui si serve in caso di difficolta e due, soprattutto, le persone che ci lavorano. Essere dipendenti di un'azienda non ci fa smettere di essere persone e con i dipendenti giusti (vedi entusiasti e con buona capacità di comunicare) rispondere a domande dirette non dovrebbe essere un gran problema.

Consideriamo quindi un altro fattore. Io posso tenere un blog personale e rispondere a domande che mi riguardano perchè, presumibilmente, sono la persona che mi conosce meglio. Dunque posso proporre il mio punto di vista più in fretta e in modo più preciso rispetto a quanto possono fare gli altri. Ciò non significa fingere che non esistano altre persone che la pensano diversamente. Se ne ho voglia, posso confrontarmi con loro e sperare di crescere un po' di più, come persona. Se il mio business consistesse nella mia persona, il fatto di conoscere le opinioni altrui per migliorare lati di me, per dare agli altri ciò di cui hanno bisogno o per anticipare tendenze future e bisogni latenti, sarebbe per me un enorme vantaggio rispetto alla concorrenza. Se tutto ciò è vero, forse a maggior ragione il discorso è valido a livello aziendale.

Ma qui si delinea un evidente paradosso. Spesso l'azienda non è il soggetto che conosce meglio i suoi prodotti, perchè li fabbrica (o li eroga, nel caso dei servizi) ma non li usa. Per quanto un'azienda creda di aver dato il meglio di sè, non sarà in grado da sola di capire se il suo è un buon prodotto, ma agirà come se lo fosse, arroccandosi sulle proprie posizioni quando il prodotto viene additato nei suoi lati negativi. Il perchè lo faccia è chiaro, ha un interesse economico nel vendere la propria infallibilità nella produzione, pena la perdita di una parte del mercato.

E qui entrano in gioco gli utenti, che rispetto all'impresa hanno un doppio vantaggio: conoscono meglio il prodotto e non hanno nessun interesse nel parlarne bene, l'unico interesse che hanno è mantenere le relazioni con l'esterno. Come dice giustamente Weinberger, la credibilità che essi hanno sta nel loro interesse nella conversazione, ma anche nella loro ammissione di fallibilità. Sono esseri umani, e sono consapevoli che le loro opinioni non sono valide in assoluto. Per un'azienda, ammettere la fallibilità di un progetto o di un prodotto è un rischio che può comportare la perdita di generose quantità di denaro.

Cos'è in grado di cambiare la cultura della rete? Gli utenti attribuiscono credibilità all'essere umano, e conversano solo per il gusto di partecipare alla conversazione. D'altra parte, sanno che l'essere umano è fallibile, e sono disposti a perdonarlo proprio in funzione della sua fallibilità. Ora, se come ho scritto all'inizio il fattore principale che emerge prepotente nella fuffa 2.0 è la componente umana della rete, perchè dovrei rifiutare a priori l'ingresso nella conversazione alle aziende che si mettono sul mio stesso piano, pur ammettendo la loro fallibilità? In fondo, ciò che noi ci ostiniamo a chiamare "impresa" è solo un insieme di esseri umani organizzati e fallibili.

L'atteggiamento tutto italiano che vede aziende e consumatori contrapposti è il risultato di qualcosa che le aziende ci hanno insegnato. "E' tuo, gratis", ma in grigino corpo 8 c'è l'inghippo, sicuramente. Le aziende hanno addestrato i propri consumatori a cercare la fregatura e ora i consumatori antepongono un atteggiamento critico a qualunque cosa sia di sapore vagamente aziendale. Ma se le aziende insegnano ai propri consumatori che non hanno niente da temere, aumentando la trasparenza, forse i consumatori possono conseguentemente modificare il proprio atteggiamento nei loro confronti.

18 gennaio 2008

Due chiacchiere con MrDopplr/2

Seconda parte dell'intervista a Matt Biddulph, CTO di Dopplr (se ti sei perso la prima parte, guarda il post più sotto o, se proprio sei pigro, clicca qui)

A maggio Matt lascia il suo lavoro come freelance e inizia a lavorare a tempo pieno per Dopplr, mentre alcuni investitori che credono nel progetto decidono di versare un piccolo capitale. La somma che mettono a disposizione servirà per comprare i domini e per pagare le spese vive. Così come i due ragazzi lavorano all'inizio semplicemente perchè credono nel progetto e nei valori dell'open source, anche gli investitori versano il loro contributo semplicemente perchè credono nel valore della community. Matt ammette candidamente che alcune scelte, come quella di permettere ai visitatori di registrarsi oppure di utilizzare un openID, sono state fatte più per supportare l'idea che per i vantaggi reali.

Nei mesi successivi, il numero di utenti di Dopplr cresce esponenzialmente, grazie al passaparola della comunità. La differenza tra farsi pubblicità e lasciare che gli utenti ne parlano è sostanziale, ti fa capire quanto le persone apprezzino ciò che hai creato e desiderino sentirsi parte attiva della comunità stessa. Ti fa sentire un buon membro di una comunità che hai contribuito a migliorare.
Dopplr esce dalla fase di beta testing e viene presentato ufficialmente a Le Web 3 a Parigi, nel dicembre del 2007.

Verso la fine della chiacchierata faccio a Matt la domanda che ti rivolgono sempre in Italia quando pensi ad una nuova applicazione: ma qual è il modello di business? Matt risponde che in realtà non c'è, ovvero che si può pensare di monetizzare il sito in molti modi. Il suo preferito è il Flickr model, con cui si può accedere liberamente al servizio (nella sua versione base) e avere features aggiuntive dietro il pagamento di una quota annua ridotta. La pubblicità, come idea, gli piace meno. Allora gli ho chiesto com'era possibile che alcune persone avessero deciso di investire in Dopplr senza un modello di business o un business plan e lui mi ha detto che incredibilmente quando decidi di inserirti nel settore dei viaggi, che è insieme a quello dei libri il mercato che si è sviluppato di più online, le persone pensano che in qualche modo vedranno il ritorno del loro investimento, anche se ancora non sanno bene come. D'altra parte, l'applicazione è molto specifica e attualmente non richiede somme che vanno aldilà della manutenzione dei server e degli stipendi di chi ci lavora; Matt è comunque convinto che se fai qualcosa in cui credi, “Getting the money is a consequence and not the reason you do it".

Per quanto riguarda l'apertura verso l'esterno, Matt ribadisce il suo sostegno all'open source: non c'è nessun vantaggio reale nel condividere i codici o i dati, ma è un modo per avviare il mercato in quella direzione e in qualche modo il mercato ti premierà per aver aperto nuove opportunità. Un fatto che considero rilevante per la privacy è che alla chiusura dell'account di Dopplr, i dati vengono restituiti, perchè Dopplr beneficia dei dati che decidi di mettere a disposizione ma sono comunque privati ed è tuo diritto riaverli (fatto che può sembrare banale e scontato ma che molte volte genera equivoci).

L'ultima domanda riguarda il futuro di Dopplr. Matt è un po' imbarazzato a parlare del futuro perchè, come mi ha spiegato all'inizio, il progetto procede con scadenze poco più che settimanali ed è difficile pensare a cosa succederà nei prossimi mesi. In tutti i casi, mi risponde che vorrebbe procedere verso l'integrazione, strada già intrapresa con Facebook, in cui è attualmente possibile inserire il badge di Dopplr nel proprio profilo. Integrazione dunque, ma se con i cellulari oppure facendo in modo di inserire i viaggi via IM, ancora non si sa.
Matt conclude la sua chiacchierata rispondendo ad una domanda di Bru: che consiglio daresti a chi decide di entrare nel mercato? Matt è sintetico e ha le idee molto chiare:

- fai ciò che conosci bene
- fai qualcosa di cui tu saresti il primo utilizzatore
- non passare mesi a sognare quello che vuoi fare, fallo e basta, anche se si tratta di una semplice mashup in grado di incrementare il valore di ciò che già esiste
- mantieni buoni contatti con San Francisco, se sei a Londra, e con San Francisco attraverso Londra se sei in Italia... San Francisco è un'ottima palestra per le idee e un buon luogo per farle circolare

Chiudo con la frase che mi ha colpito di più. Dopplr non ha niente a che vedere con i viaggi reali, è bello perchè è un database of intentions. Se non hai ancora un account (il che a questo punto mi pare difficile, detto fra noi), nel frattempo puoi dare un'occhiata al mio ;)

17 gennaio 2008

Due chiacchiere con MrDopplr/1

Mercoledì, ore diciotto e trenta. Anzi, diciotto e trentacinque, siamo già in ritardo. Come si chiamava il pub? Prague, ok. Allora l'abbiamo passato, era quello con l'insegna rossa. Sì, è quello.
Entriamo. Ad un tavolo c'è un tizio con gli occhiali, un macbook e un cappuccino che ci fa un segno con la mano. Ecco come ho conosciuto Matt Biddulph, il CTO di Dopplr.

Ci sediamo, due birre, blocco e matita e chiedo a Matt se mi può raccontare un paio di cose riguardo a questo servizio. In un'ora di chiacchierata, Matt mi racconta un po' di tutto, da com'è nata l'idea a qual è il famoso modello di business.

Dopplr nasce da un'idea di Marko Athisaari (qui la sua presentazione di Dopplr) ed è stato sviluppato da Matt Biddulph, che all'epoca lavorava come programmatore e aveva avuto esperienze con BBC e altre grosse aziende e a livello grafico da Matt Jones, che lavorava per Nokia come product designer. L'idea era piuttosto semplice: creare una piattaforma di social network specificatamente dedicata a chi viaggia frequentemente. Dopplr avrebbe risolto il problema di chi si sposta spesso per lavoro, ovvero di far conoscere alla propria lista di contatti dove si sarebbe trovato e quando, in modo da aumentare la possibilità di contatti faccia a faccia con altri che si sarebbero trovati nello stesso luogo. I problemi principali erano legati alla dimensione del pubblico che Dopplr avrebbe avuto: non erano sicuri che un servizio così specifico potesse essere un valido servizio di per sé, ma che forse sarebbe dovuto essere parte di qualcosa di più grande (a feature of a bigger service). Ma l'idea era buona, così Biddulph e Jones si sono convinti che Dopplr sarebbe stato parte di un servizio più grande in senso lato, il web.

All'inizio del 2007 i due si incontrano durante un weekend e in pochi giorni raffinano l'idea, si fanno un'idea di come sarebbe stato il design e di come avrebbero dovuto organizzarsi per il lavoro. Si danno obiettivi a breve scadenza, pensano al lavoro materialmente realizzabile nelle settimane successive e lavorano per gradi, aggiornandosi di persona ogni poche settimane. Nel frattempo, Matt Biddulph lascia il suo lavoro e comincia ad accettare progetti come freelance, il che gli consente di organizzare meglio il proprio tempo e di viaggiare attraverso l'Europa e gli Stati Uniti. Matt sostiene che la tecnologia ha favorito a tal punto il suo stile di vita perchè gli ha consentito di non essere mai presente fisicamente, con una connessione a disposizione poteva lavorare e contemporaneamente vivere in luoghi diversi, utilizzando il suo tempo libero per sviluppare Dopplr.

A marzo la prima versione del servizio è pronta. Per il beta testing vengono selezionate venti persone in grado di fornire feedback utili e di parlare del prodotto. A loro vengono spediti inviti personali, con l'opzione di poter a loro volta invitare altre due persone. Dopplr viene accolto con entusiasmo, Matt inizia a presentare il prodotto alle conferenze e tanto le richieste di inviti quanto i feedback ricevuti eccedono spesso la capacità di gestione. Il capitale investito è ancora minimo e consisteva nel noleggio delle strutture per i weekend in cui si lavorava faccia a faccia.

Fine prima parte

08 agosto 2007

Primi libri per la tesi

Come ben sapete (e se non lo sapete ve lo dico), la vostra amata è infognata con la questione tesi. Ho deciso che non posso scrivere tutto senza un minimo di bibliografia. E oggi, splendente come il sole d'agosto, mi sono recata nella più fornita Feltrinelli per vedere cosa mi poteva offrire il reparto "internet-saggi".

Dal momento che ho la pericolosa abitudine di spendere un sacco di soldi in qualsiasi libreria, questa volta mi sono dovuta dare delle regole, ché soldi per i libri della tesi ne dovrò spendere un pochetto. La regola di base è unica: il libro in questione, per quanto interessante, non può costare più di 10 euro. Occorre ridurre al minimo le eccezioni, e solo per volumi di particolare calibro. Questo perchè non voglio lasciare lo stipendio mensile per due copertine patinate, i fronzoli non mi interessano, voglio i contenuti. E pagare un libro 30 euro anzichè 10 per una futile copertina patinata mi sembra il massimo dello spreco: inquina di più e non vale ciò che costa. Senza contare che i libri appena comprati tra sei mesi saranno pleistocene. Meglio pochi libri, buoni, che siano utili come base per costruire discorsi e possibilmente aggiornabili con considerazioni online degli stessi autori.

Al già citato La parte abitata della rete di Sergio Maistrello, si sono dunque aggiunti al momento Blog generation di Giuseppe Granieri e La coda lunga di Chris Anderson.
Ho avuto tra le mani anche Business Blog dei blasonati Scoble&Israel, edito dal Sole 24 ore alla modica cifra di 26 euro. Ero indecisa se fare un'eccezione alla mia regola di base, così ho sfogliato il libro. Ho letto una sola frase, nella parte in cui si parla delle regole dei blog, che diceva che in realtà non esistono regole, "dal momento che non esiste una polizia unica". Una polizia. Una traduzione talmente grossolana da farmi sorridere. Non ho letto oltre, lo ammetto. Ma se devo vedere questo tipo di traduzioni vi dico solo una cosa: io ventisei euri non sono disposta a darveli.

Per inciso, i libri che mi parlano di come costruire un blog e danno come unica opzione wordpress e aruba.it per l'acquisto del dominio mi fanno ridere. Spero che qualcun altro, oltre a me, abbia avuto il buon gusto di non comprarli.