Ciò che segue è un prodotto lungo e tutt'altro che originale di una serie di pensieri e considerazioni sul rapporto tra aziende e conversazioni. Abbiate pazienza, mi serve per mettere in ordine le idee in vista di un progetto più ampio (leggasi: tesi)
Qual è il fattore più lampante che emerge da tutta questa fuffa di web 2.0? Le persone, le loro storie, i loro interessi, le loro relazioni. Il prodotto più evidente di questo fenomeno sono sicuramente i blog (anche i social network, ma per ora sorvolerò). Dopo aver permesso alle persone di pubblicare liberamente idee e contenuti, permettendo allo stesso tempo un confronto diretto e paritario, i blog hanno lentamente allargato la loro sfera di influenza, fornendo preziosi contributi alla conoscenza, alla politica, al settore tecnologico e dell'informazione, ma anche alle aziende.
I blog aziendali sono al centro di un ampio dibattito sulla loro ragione di esistenza: come può un'azienda conversare liberamente senza rivelare all'esterno dati preziosi che fanno parte del suo core business? A mio modo di vedere, questo è un problema soprattutto di atteggiamento italiano. I blog aziendali sono all'estero una realtà in espansione che in Italia fatica ad affermarsi, un modello ripreso solo timidamente dai pionieri del Bel Paese. In Italia siamo scarsamente propensi a collaborare, siamo pregni di una cultura che riconduce all'assunto "informazione è potere", siamo così arroccati sulle nostre posizioni che il concetto di "scambiamoci un'idea anzichè una mela, perchè ne avremo due ciascuno" ci sembra così un gran bell'assioma che ci guardiamo bene dal metterlo in pratica.
Il blog è apertura pressochè completa. Ma teniamo presente che in un blog personale, benchè io possa parlare di me stessa, non sono obbligata a rivelare dettagli intimi, ma non per questo mi è preclusa l'opportunità di conversare e confrontarmi. A domande dirette, posso decidere di rispondere direttamente, rispondere indirettamente o glissare. D'altra parte, io non devo vendere niente, devo solo mantenere le mie relazioni con l'esterno. E così un'azienda, per il fatto di avere un blog aziendale, non è costretta a rivelare segreti indispensabili al mantenimento del core business, ma può rilasciare all'esterno una quantità considerevole di informazioni che le servano a mantenere le sue relazioni con il suo pubblico. Ma l'azienda è sul mercato per vendere, a domanda diretta non può mantenere il mio stesso atteggiamento. Solo che l'azienda ha due strumenti importantissimi che io non ho: uno, interi dipartimenti di PR di cui si serve in caso di difficolta e due, soprattutto, le persone che ci lavorano. Essere dipendenti di un'azienda non ci fa smettere di essere persone e con i dipendenti giusti (vedi entusiasti e con buona capacità di comunicare) rispondere a domande dirette non dovrebbe essere un gran problema.
Consideriamo quindi un altro fattore. Io posso tenere un blog personale e rispondere a domande che mi riguardano perchè, presumibilmente, sono la persona che mi conosce meglio. Dunque posso proporre il mio punto di vista più in fretta e in modo più preciso rispetto a quanto possono fare gli altri. Ciò non significa fingere che non esistano altre persone che la pensano diversamente. Se ne ho voglia, posso confrontarmi con loro e sperare di crescere un po' di più, come persona. Se il mio business consistesse nella mia persona, il fatto di conoscere le opinioni altrui per migliorare lati di me, per dare agli altri ciò di cui hanno bisogno o per anticipare tendenze future e bisogni latenti, sarebbe per me un enorme vantaggio rispetto alla concorrenza. Se tutto ciò è vero, forse a maggior ragione il discorso è valido a livello aziendale.
Ma qui si delinea un evidente paradosso. Spesso l'azienda non è il soggetto che conosce meglio i suoi prodotti, perchè li fabbrica (o li eroga, nel caso dei servizi) ma non li usa. Per quanto un'azienda creda di aver dato il meglio di sè, non sarà in grado da sola di capire se il suo è un buon prodotto, ma agirà come se lo fosse, arroccandosi sulle proprie posizioni quando il prodotto viene additato nei suoi lati negativi. Il perchè lo faccia è chiaro, ha un interesse economico nel vendere la propria infallibilità nella produzione, pena la perdita di una parte del mercato.
E qui entrano in gioco gli utenti, che rispetto all'impresa hanno un doppio vantaggio: conoscono meglio il prodotto e non hanno nessun interesse nel parlarne bene, l'unico interesse che hanno è mantenere le relazioni con l'esterno. Come dice giustamente Weinberger, la credibilità che essi hanno sta nel loro interesse nella conversazione, ma anche nella loro ammissione di fallibilità. Sono esseri umani, e sono consapevoli che le loro opinioni non sono valide in assoluto. Per un'azienda, ammettere la fallibilità di un progetto o di un prodotto è un rischio che può comportare la perdita di generose quantità di denaro.
Cos'è in grado di cambiare la cultura della rete? Gli utenti attribuiscono credibilità all'essere umano, e conversano solo per il gusto di partecipare alla conversazione. D'altra parte, sanno che l'essere umano è fallibile, e sono disposti a perdonarlo proprio in funzione della sua fallibilità. Ora, se come ho scritto all'inizio il fattore principale che emerge prepotente nella fuffa 2.0 è la componente umana della rete, perchè dovrei rifiutare a priori l'ingresso nella conversazione alle aziende che si mettono sul mio stesso piano, pur ammettendo la loro fallibilità? In fondo, ciò che noi ci ostiniamo a chiamare "impresa" è solo un insieme di esseri umani organizzati e fallibili.
L'atteggiamento tutto italiano che vede aziende e consumatori contrapposti è il risultato di qualcosa che le aziende ci hanno insegnato. "E' tuo, gratis", ma in grigino corpo 8 c'è l'inghippo, sicuramente. Le aziende hanno addestrato i propri consumatori a cercare la fregatura e ora i consumatori antepongono un atteggiamento critico a qualunque cosa sia di sapore vagamente aziendale. Ma se le aziende insegnano ai propri consumatori che non hanno niente da temere, aumentando la trasparenza, forse i consumatori possono conseguentemente modificare il proprio atteggiamento nei loro confronti.