Riflessione di fine anno, anche se siamo (quasi) a luglio
L'ultimo post è datato 15 marzo 2011, brrr.
Per questo ho deciso di farne uno tutto nuovo, anche se siamo (quasi) a luglio, anche se sto fuori con la felpa anziché essere, come tutti si augurerebbero, sulla spiaggia a prendere l'ultimo sole. Ok, non se lo augurerebbero tutti, ma il vizio del plurale maiestatis non l'ho mai perso, che ci vuoi fare.
Perché sto riprendendo a scrivere? Non lo so, forse perché il cielo è troppo bello per non farlo, forse perché i Dire Straits ispirano, forse perché non ho trovato la decolleté che ti fa dire: è lei. No dai, è la birra dell'aperitivo.
Ma ci sono delle parole che vengono fuori da sole, i tasti seguono docili i pensieri, il senso di quiete che deriva da dieci ore di sonno ti mette in pace con il mondo. Quindi si può scrivere, e quindi si scrive.
C'è un che di malinconico nello scrivere, ma anche un po' di saggio, o forse è la saggezza che tutti vorremmo avere rileggendo qualcosa che abbiamo scritto, qualcosa che sentivamo. Io scrivo per vezzo, scrivo per l'estetica della parola, scrivo per il gusto di scrivere, forse è per quello che non scrivevo da un po', perché avevo perso il gusto di fare le cose per se stesse. Non tutte, ma alcune sì, risucchiate dal frullatore della vita comune, di quella che ti giochi tutti i giorni perché credi di poter creare qualcosa di grande e di diverso, e invece ti giri indietro e hai vissuto la vita quotidiana di tutti quelli a cui pensi con disgusto, dicendoti: io non vivrò mai così, perché io sono diversa.
E passa un anno, e passano due anni. E tu sei presa tra una scadenza, un pagamento delle tasse (arriverò mai a fine mese?) e una lavatrice. E una fottuta vacanza che eh sì, se l'avessi prenotata un mese fa. E le scarpe che non si trovano. E il progetto che va a singhiozzo. E i team, le confcall (papà: sono le telefonate, ma noi le chiamiamo così), i pranzi al bar chepperò questo panino microscopico mi costa un rene. E la palestra che hai pagato e che poi non ci vai mai, perché non hai tempo, dici tu. E la stramaledetta prova costume, che quest'anno sai che non supererai, te lo dice in un orecchio la crocchetta che hai mangiato ieri sera all'aperitivo (questa poi è una cosa che mi sono sempre chiesta: ma se non superi la prova costume che succede? Ti rimandano a settembre? Ti penalizzano per l'anno successivo? "No guardi, non ero preparata per questa domanda, possiamo cambiare domanda mentre mi infilo la tuta da sci?". Non lo so, è che se succede vorrei essere preparata per trattare.)
E' che serve talmente tanto tempo per essere concentrati su tutto che poi viene a mancare il tempo per concentrarsi su se stessi. No, non è la ceretta, non è la lampada perché-sai-quando-vado-al-mare-non-voglio-mozzarellare. Ah ah ah, mozzarellare. No dico, quel tempo in cui prendi, smonti e rifai. Quella concentrazione che ti fa astrarre, ma per un tempo, mica per il tempo di un parrucchiere. Io pensavo di essere brava, invece non ci riesco. Dovrei farlo (disse quella che non va in palestra da due mesi). Dovrei fare tante cose. Inutile che mi guardi con disapprovazione, lo diciamo tutti, io mi sto solo giustificando tramite coscienza collettiva. Anche tu doveresti farlo. (e così sposto la conversazione sull'interlocutore, solleticando il tuo senso di colpa, così finalmente mi lascerai in pace. Ho pur sempre studiato comunicazione.)
Non manca lo spazio e non manca il tempo. Manca solo qualcos'altro, qualcosa che se lo sapessi pubblicherei un bestseller e mi ritirerei a vita privata alle isole Fiji (mamma, le isole Fiji sono qui, dicono che sia un posto molto bello e che non ci siano le zanzare, anche tu apprezzeresti). O forse manca solo il saper riconoscere le cose di valore nella vita comune, quella che dici "non farò mai", quella che in fondo stai vivendo tutti i giorni, quella che è in grado di darti le risorse giuste, gli spunti giusti. Boh, io ci sto provando.