29 gennaio 2009

Se questo è un genio

Rothko è l'artista più sopravvalutato di tutti i tempi. Ora capisco perché è così faticoso trovare le sue opere tutte insieme. Quando vedi la prima, pensi che Rothko sia un dannato genio. Quando vedi la seconda, pensi che Rothko sia sì un genio, ma un po' ripetitivo. Quando vedi la terza pensi che genio è una parola grossa. Quando vedi la settima inizi a pensare che anche una sua eventuale carriera da imbianchino non sarebbe stata poi così soddisfacente. La mia visita alla mostra su Rothko è durata otto minuti, i primi cinque passati a guardarmi intorno, i successivi tre a cercare la via più breve per uscire dalla sala. Poi è questione di gusti, io (per dire) sono una groupie di quello squilibrato di Pollock, ma tant'è.

Così corro fuori e cerco quella sala là, quella dei minimalisti. Ah, finalmente senso. Una forma geometrica bianca schizzata su un muro bianco. Un'enorme scritta al neon. I miei neuroni iniziano a mettersi in moto, cercando senso. Un viaggio nello spazio distorto di LeWitt e l'approdo sull'isola delle parole, quel miscuglio di concreto e irreale che solo un allenato Holzer può mettere insieme. Parole e colori, colori e forme geometriche, forme geometriche e lettere. Regole, solo regole. Queste composizioni sono pregne di regole, sono rette da regole, sono la sistematizzazione delle regole. E dalle regole si passa ai principi strutturali. Adoro la regolarità, soprattutto quando si fa forma, la forma ingloba lo spazio nella figura e la figura diventa una vuota portatrice di senso, restituendo all'osservatore il suo mondo. O inglobando il mondo dell'osservatore. O facendo diventare l'osservatore l'oggetto stesso dell'osservazione. Ma negando se stessa l'opera ritorna a essere opera, rigettando l'osservatore stordito e confuso nel suo stesso mondo.

Allora si smette di giocare con lo spazio e si torna a guardare i quadri alle pareti. Datemi una dose di cubismo, per favore, sono in astinenza da settimane. Sbattetemi in faccia un Picasso, datemi un cucchiaio di Balla. Il mio problema coi cubisti è che mi danno appetito, ma poi mi ingozzo a tal punto da non riuscire più a distinguere i sapori, rincorro le sagome abbozzate senza avere il tempo di assaporare, o di riflettere.

E poi solo altre tre parole. Pop. Art. Yo. Un Rauschemberg che ammicca a un Lichtenstein che cede il passo a un Johns. Basta, credo che questo sia il momento giusto per uscire, non credo di poter andare oltre. E invece un passo avanti e un Matisse sta lì a fissarmi, e in mezzo a due Bonnard chi mi ritrovo? L'Ave Maria di Cattelan. No, dico, che ci fa Cattelan in una sala che si chiama "Dopo l'impressionismo"? Sospensione dell'incredulità, perché lì di fianco trovo un Mondrian inedito e in ottima forma.

Ecco, sapevo che non avrei retto più di un'ora. Mi trascino fuori dopo un'ora e un quarto sfinita. Consumata. Respiro. Datemi una secchiata in faccia di Real Life, please.

(tutto questo è ovviamente il frutto della seconda spedizione punitiva alla Tate Modern, come avevi già capito)

23 gennaio 2009

Breve guida all'invio di mass email (marketing)

Inutile continuare a parlare di conversazioni e di mercati come conversazioni in un contesto in cui le aziende non sono capaci neppure di mettere insieme una mail da mandare a un database di indirizzi.

Sia chiaro, non ce l'ho con quelli che mi mandano mass email perché allungano la lista delle mail da leggere. Sarei ben contenta di farmi intasare l'account di informazioni rilevanti, senza dover spendere ore a cercarle in rete. Ce l'ho con una sola categoria, ovvero con quelli che non hanno idea di cosa stanno mandando e a chi, con quelli che ti rendono difficile arrivare alla seconda riga, con quelli che si autoincensano, perdendosi nelle parole che illustrano i loro stessi successi.

Questa guida è per voi. Quando mi arriverà anche solo una mail di mass marketing che sia in linea con la maggior parte di questi dieci (più uno) punti, saprò che c'è ancora speranza di parlare con le persone che lavorano nelle aziende e non solo con le loro brochure.

1. Il fatto che una mail mi debba passare sotto gli occhi non ti dà il diritto di approfittare del mio tempo.

2. Se proprio decidi di inviare una mail, comincia identificandoti. Sei una persona che scrive a un'altra persona, dimmi chi sei e fai in modo che possa verificarlo. Tu sai chi sono io, perché mai dovrei prestare attenzione a uno sconosciuto? Dammi qualche riferimento, un profilo LinkedIn, un blog, un account di Twitter. Se non sei nemmeno nel "Chi siamo" della tua azienda (o se la tua azienda non ha nemmeno un "chi siamo"), lascia perdere. Non so chi sei e non ho intenzione di starti a sentire.

3. Adatta il tono della tua comunicazione. Se hai una patente B e sai guidare un'auto, pretenderesti mai di saper guidare un jet? Non mi interessa quanti anni di esperienza hai alle spalle, se decidi di usare i social network per pubblicizzare le tue iniziative, tieni ben presente dove sei e con chi stai parlando. I tuoi toni ingessati e le tue moine non mi interessano. Lascia tutto alle tue brochure patinate e fingi di essere una persona che scrive a una persona. Faticoso, eh?

3 bis. Chiediti se sei in grado di farlo. Di nuovo, non mi interessa quanti anni di esperienza hai alle spalle, ogni contesto ha bisogno di determinate competenze. Se non riesci a sganciarti dal tuo ruolo incravattato, rivolgiti a qualcuno che mangia pane e social network. In questo modo eviterai molte figure barbine.

4. Contattare le persone direttamente e rischiare di avere risposte comporta un notevole dispendio di risorse. Se non sei pronto a dare valore (e a destinare un budget) a questo tipo di relazioni, lascia perdere. Mantenere un rapporto è costoso in termini di tempo e risorse. Se non sei disposto ad ascoltare dopo aver contattato le persone, cambia strategia.

5. "Ho letto il tuo blog e mi sembra molto interessante". Lascia perdere. Io so che la mia mail è finita nel tuo database, così come lo sai tu. Non raccontiamoci fregnacce. Vai al sodo.

6. Proponimi qualcosa di concreto, subito, ora. Se sono interessata, avrai la mia attenzione. La promessa futura di oro, incenso e mirra non mi interessa. Dimmi cosa devo fare se mi interessa, altrimenti lascia perdere.

7. Sii breve, perdio. Non mi interessano tutte le attività della tua azienda e tutti i suoi trascorsi. Se mi interessa, sono capace di cercarlo da sola. Non cercare di guadagnarti la credibilità mettendo tutto nella mail. Tanto la prima cosa che cercherò in rete non sarà il sito della tua azienda, ma l'opinione degli altri utenti.

8. Mettere un link al profilo di Facebook fa figo e non impegna. Ma se mi metti un link a un profilo privato, cosa dovrei farmene? Linka un profilo aperto o un profilo pubblico, in modo da farmi vedere chi sei. Se lo scopo è solo farmi vedere che sei un gran ganzo e sai usare Facebook, lascia perdere. Probabilmente lo so usare meglio di te e non avrò pietà nel cassare le tue future iniziative.

9. Rendimi facile il reperimento di informazioni. Il fatto che tu mi stia mandando una mail non implica il fatto che io beva senza fiatare tutto quello che contiene. Lasciami qualche link, fai in modo che sul tuo sito io possa vedere rapidamente le informazioni che cerco senza perdermi in redirect, musiche, download di brochure e .zip, frizzi&lazzi. Ho perso tempo nel leggere la tua mail. Se io perdo più di un minuto cercando di districarmi tra gli inutili fronzoli del tuo sito, tu avrai perso la mia attenzione.

10. Se nonostante tutto questo sei riuscito a fare in modo di farmi leggere la mail e farmi trovare il tempo per risponderti, evita cortesemente di mandarmi un'altra mail copiaincollata. Se lo fai, io mi sentirò doppiamente presa in giro. L'unico risultato che otterrai finire immediatamente nell'oblio e fare in modo che io racconti al mondo quanto sei arrogante.

22 gennaio 2009

Hai mai camminato dentro un'opera di fantasia?

Entrare allo Shunt richiede la sospensione dell'incredulità.

Una volta mi sono trovata a camminare come Gulliver in una città fatta di casine e palazzi che mi arrivavano al ginocchio. Un'altra volta ho visto gente improvvisare un concerto in una mansarda. Una terza volta sono entrata in un intricato roseto. Ieri sera, per dire, ho visto la Madonna, con tanto di aureola celeste e cuore rosso illuminato.

E no, non mi faccio di acidi, anche se potrei raccontare di aver visto un carillon grande come una stanza fatto suonare da vecchie singer. Oppure di aver guardato su un muro un racconto di Edgar Allan Poe. Figurine di cartoncino che si rincorrono davanti a una luce fissa. Veder scendere dal soffitto due trapeziste o passare in una stanza con quadri fotografici o attraversare una sala con due mega hula hop illuminati da luce blu o rossa con dentro figure umane che si contorcono ormai è la cosa più normale che abbia fatto.

Sarà perché entri direttamente dalla metro. Sarà perché devi attraversare cripte buie, e nicchie, e gente che sussurra, e stanze con vecchi sedili di vecchi cinema e un telone pronto a illuminarsi prima di arrivare a una specie di salone principale. O forse sarà perché così immerso nel buio a un certo punto puoi sentire un pianoforte che suona in lontananza, e forse è suggestione, o forse è solo qualcuno che si è messo a improvvisare a uno dei vecchi pianoforti a coda disseminati tra le sale. Fattostà che se decidi di entrare allo Shunt devi mettere in conto la sospensione dell'incredulità. Davvero.

19 gennaio 2009

New year's resolutions/3: zenicizzamento

Ho iniziato a fumare alla fine del primo anno di università. Il che significa che, superate le pericolose tentazioni dell'adolescenza, non è mai troppo tardi per fare una cazzata. I primi anni ho mantenuto un livello più che accettabile, sotto stress da esame arrivavo a fumare ben 2 sigarette al giorno, con la palestra era impossibile iniettare più nicotina nell'organismo senza rischiare che le mie allieve finissero una lezione e io no. Poi le ore settimanali in palestra sono diminuite, così come le sigarette rimanenti nel pacchetto a fine giornata.

In una fase particolarmente rigida per la mia psiche (e le sigarette a un terzo del costo) la situazione è precipitata. Al rientro in Italia, fumavo praticamente un pacchetto e mezzo di sigarette al giorno. La media è in seguito scesa nei mesi, assestandosi sulle poco meno di venti, altalenando periodi di disinteresse a periodi di "no no no così non va".

Ciò che rende più difficile (o più facile?) il mio rapporto col tabacco è che a me fumare piace, odio l'odore di fumo che impregna i vestiti e le dita, ma mi piace il sapore delle mie sigarette. Una contraddizione inestricabile. La sigaretta è stato il letimotiv che ha collegato vite diverse in contesti diversi.

Sono a Londra da dieci giorni. Qui le sigarette viaggiano sui sei pound a pacchetto e io non ho ancora un lavoro. Questo lo sapevo prima di partire. Ho deciso che il mio arrivo avrebbe coinciso con l'eliminazione del superfluo, per quanto possibile, dunque pochi vestiti, pochi libri, pochi oggetti personali. Poche sigarette.

Disabituo lentamente il mio fisico alla necessità di nicotina, non elimino il vizio, ma quello che non ha senso. Venerdì scorso ho fissato un obiettivo: una media di cinque sigarette al giorno. Qualche volta sono arrivata a quattro, o a tre. Una volta a sette, ma non ho più intenzione di farlo. L'obiettivo principale non è tanto (per ora) smettere di fumare, ma eliminare pian piano le cose fatte per abitudine e dare più significato ai gesti. E parto da quello fin troppo familiare di sfregare il pollice su una ghiera di metallo.

18 gennaio 2009

New year's resolutions/2: mens sana in corpore sano

Ce l'ha con la mia coda di paglia, lo so. Tra una settimana cominceranno gli ads di Google. Quando tra due settimane la schermata iniziale del mio pc si tramuterà in: LO VUOI MUOVERE QUELL'ENORME CUXXNE SI O NOOO? capirò che davvero non posso più aspettare.

(clicca sull'immagine per leggere cosa mi sta intimando quel cartellone)

16 gennaio 2009

Un'ora alla volta, per favore

Un'ora. Un'ora tra tele, materiali, soffitti alti, oggetti a tre dimensioni, muri candidi. Un'ora di ispirazione, un'ora perché è così che si fanno le cose accuratamente, ma senza lasciarsi sopraffare, senza lasciarsi confondere, permettendo alle sensazioni di fluire e sedimentare, senza che siano costrette a lasciare frettolosamente spazio a tutto il resto. Un'ora perché è il tempo che serve per costruire una curva emotiva, e non più di un'ora, perché smettere quando sei senza controllo è più difficile, perché la tua mente si stanca e non si accorge di essere stanca. Un'ora è quella che mi sono presa ieri per fare un giro tra i Pollock e i Picasso, tra un Dalì e un De Chirico, al terzo piano della Tate Modern. Un piano alla volta, ho deciso. Un'ora alla volta. Voglio assorbire tutto.

13 gennaio 2009

Quanto vale una parola?

Recupero feed arretrati. Nel giro di dieci minuti leggo un post prenatalizio di Luisa Carrada e uno di Folletto. Post piuttosto diversi, il primo è legato al lavoro, il secondo raccoglie citazioni, ma entrambi suggeriscono quanto sia impegnativo lavorare con le parole. Sorrido, e dico grazie.

New year's resolutions/1: imparare a usare il microonde

Anno nuovo, vita nuova. Di' la verità, quante volte ci hai pensato, tra buoni propositi e cambiamenti effettivi? Io ho dovuto giocoforza fare delle scelte, d'altra parte se tendi a rimandare le decisioni e le decisioni scelgono te, non puoi che apprezzare e cercare di dimostrare al fato che puntando il dito verso di te ha fatto la scelta più saggia.

Così eccomi qui, cercando di controllare l'umore a dispetto di un tempo atmosferico che fa delle mie giornate degli altalenanti alti e bassi. Altra fase ingurgitante della mia vita, piena di cose rimandate, notizie non lette, cibi non mangiati e nuove abitudini da far accettare all'organismo.

Per prima cosa, ho deciso che quello strano aggeggio che c'è in cucina e che cuoce in poco tempo non può essere usato solo per scaldare l'acqua e scongelare. Diamine, con la metà di quello che l'hai pagato ti ci usciva un bollitore coi contropacchi, quindi è giusto che l'attrezzo ti consenta perlomeno di recuperare l'investimento. Primo buon proposito per l'anno nuovo, dunque, imparare a usare il microonde.

A questo punto, posso condividere con te il primo risultato. Un risultato per cui bastano dieci minuti (e se tra le tue new year's resolutions esiste un proposito di svegliarti dieci minuti prima la mattina, sei a metà dell'opera), un uovo, un po' di burro, un po' di zucchero e un po' di farina. Ah, e un microonde, ovviamente. Ho sperimentato per te, e oggi ti propongo di fare da te i tuoi biscotti per la colazione.

Fai così: svegliati un quarto d'ora prima, vai in cucina con occhio cisposo, metti 75 grammi di burro in un pentolino e accendi il fuoco bassissimo. Ora prendi una ciotola, mettici dentro 150 grammi di farina, 75 grammi di zucchero e un uovo. Mescola, togli dal fuoco il burro che ormai si sarà sciolto, mettici anche quello e impasta per bene, prima col cucchiaio e poi con le tue manine. Ci metterai tra i 5 e i 10 minuti, a seconda di quanto sei sveglio appena metti giù i piedi dal letto. Ora fai del tuo impasto palline grandi come noci, schiacciale tra i palmi, metti quello che ne risulta su un piatto piano infarinato e metti il piatto in microonde, a potenza media, per 5 minuti.

Mentre aspetti i tuoi primi biscotti hai il tempo per prepararti il caffè, o se ti senti più british, il tè. Quando il tuo microonde si spegne da solo, togli i biscotti dal piatto e lasciali asciugare un attimo, ovvero, il tempo per metterti qualcosa addosso e domare la zazzera che hai in testa. Secondo i miei calcoli, dovrebbe esserti uscito impasto sufficiente per una seconda infornata, che fortunosamente incastrerai a tetris in questo preciso istante, così hai anche il tempo di infilare il tuo pc e l'alimentatore nella borsa (oppure mettila in frigo, e spera che quando torni sia ancora utilizzabile. Fallo a tuo rischio e pericolo, che io non ho mica provato). A questo punto sei pronto per la tua colazione. Sarai senz'altro in ritardo, quindi ti consiglio di mangiare i biscotti in piedi, mentre ti infili il cappotto. Per il caffè, o il tè, una lunga sorsata e via. Ricordati le chiavi di casa (eventualmente quelle della macchina) e copriti bene, che fuori fa freddo.

Se non ti senti pronto per sperimentare il tutto a occhi ancora chiusi, sii maratoneta dentro: inizia ad allenarti prima.