28 settembre 2008

Di come eliminerò dal feedreader chiunque mi propini le solite pippe sul ROI

No, basta. Davvero, mi sono rotta le balle.

Oggi ravanavo nel mio feedreader per recuperare tre settimane di post non letti. A un certo punto mi trovo un link di Stowe Boyd che mi riporta a un post di David Cushman, persone per cui nutro enorme rispetto. L'articolo in questione, datato 17 settembre, si poneva il problema del ROI dei social media, aprendo la questione e passando il meme ad altre persone di tutto rispetto, tipo John Carson. La pippa è sempre la solita: il ROI è misurabile solo nel momento in cui non ragioniamo più per impression ma per engagement. Perderemo il 60% dei clienti insoddisfatti, ma il rimanente 40% apprezzerà la conversazione e una parte di questi potrà potenzialmente diventare un advocate del brand.

Ora, mi scuso con mamma e papà per aver usato una quantità eccessiva di termini inglesi potenzialmente privi di significato anche per chi lavora nel settore, se non per vantarsi al bar con gli amici, ma maledizione, com'è possibile che nell'era del duepuntozero e dei socialmedia e di sticazzi stiamo ancora a farci pippe sul ROI? Un'azienda che decide di entrare nella conversazione non lo fa per le impression, lo fa per instaurare un tipo di rapporto che prescinde dal suo sciantoso website anni '90 e dalle sue glitterate frecce luminose, lo fa perchè crede che fare business con sincerità è un mondo possibile, lo fa perchè gli interessa avere forse meno clienti, ma che quei clienti siano esseri a cui dare e da cui pretendere pari rispetto, lo fa anche perchè capisce che a un certo punto conviene instaurare un rapporto anzichè vendere un servizio con allegata una confezione di vaselina e sotto il prossimo. Come si fa a spiegare a un'azienda che non ha già all'interno il seme di questa cultura come funzionano le cose dopo che la rete è passata come un regolasiepi sulla sua reputazione?

Io, signori miei, attendo al varco. Aspetto che se un nuovo modo di lavorare si sta instaurando, si instaurino con esso nuovi metodi di misurazione oggettiva. Aspetto anche che qualcuno si inventi un modo per misurare la mia fedeltà alla Barilla o alla Nike, ma non rispetto ad altre marche, rispetto alla variazione della tinta di ciano o di magenta delle confezioni. Io aspetto, perchè se finora qualcuno è stato in grado di inculcarmi che un cliente fidelizzato è più remunerativo di un cliente occasionale, ma non di dirmi in percentuale cosa, come e quanto investire in relazione di questa percentuale, aspetto di sentire un oggettivo e misurabile sistema per stabilire quanto io amo la marca. Voglio formule e numeri. Voglio poter dire al mio capo, guarda, il fatto che il cliente x ci ami un punto percentuale in più significa che il nostro guadagno è esattamente di centoquarantadue euro virgola cinquantasei e che questo si ottiene con uno virgola sei twittate giornaliere in più, tre virgola due nuovi gruppi su facebook e otto virgola ottantaquattro plurkate in più l'anno. Altrimenti non state a raccontare storie, che io ho di meglio da fare, tipo togliermi la lanugine dall'ombelico.

10 milioni di dollari per un'idea che migliora il mondo

Google compie dieci anni e si fa un discreto regalo. Scegliere fino a cinque idee che possono dare una mano al mondo e premiarle con 10 milioni di dollari. Se pensi di sapere come aiutare la comunità, oppure hai in mente qualcosa per l'ambiente, l'istruzione o una delle altre cinque categorie indicate da Google, invia la tua idea.

Anch'io, nel mio piccolo, ci ho pensato. Per migliorare il mondo credo sia necessario eliminare gli insensibili e anche i cretini (se non pretendo troppo). Chissà per che categoria posso concorrere.

15 settembre 2008

Cracker (non quelli di internet, quelli che si mangiano)

A casa dei miei genitori, il pane non e' mai andato molto di moda. La quantita' standard era la coppia e due panini, ma la quantita' di pane fresco e' difficile da azzeccare, sempre tre persone, sempre la stessa quantita', un giorno rimaneva tutto e il giorno dopo finiva alle 11 del mattino. Ma non con questa frequenza e regolarita', perche' tu lettore pignolo dirai, bastava non comprare il pane il giorno in cui non sarebbe andato mangiato! E bravo furbo, io non mi sono regolata una vita e tu mi vieni a fare le pulci ora. Bah.

Comunque, si diceva, chiaro che a un certo punto per evitare troppi sprechi, il pane c'era qualche volta si' e qualche altra no. Le nostre improvvisazioni culinarie spesso non tenevano conto di questa variabile, quindi capitava di dover mangiare qualcosa che richiedeva la scarpetta in assenza della materia prima da scarpetta. Per questa ragione, suppongo, in casa mia poteva mancare qualunque cosa, ma non i cracker.

I cracker sono dunque sempre stati una presenza piuttosto rassicurante in casa mia. In qualunque momento dell'anno, aprivi il mobile e questi se ne stavano sempre la', tutti riuniti nel cestino di vimini, oppure erano sparsi come fiches da gioco sul tavolo, infilati nelle cartelle delle elementari e nelle borse della mamma quando si andava in giro per superare i miei copiosi cali glicemici (da piccola avevo l'acetone, il mio corpo non reggeva gli zuccheri, chiaro che il calo glicemico era il nemico piu' temuto, altro che fobie da eritemi solari). Una volta infilati in un qualsivoglia tipo di borsa, nel giro di pochi minuti il pacchetto si piegava e si schiacciava. La risultante era un sacchetto trasparente pieno di becchime per gli uccelli, periodicamente si svuotavano le borse e si riempiva il sacchetto della monnezza.

La reazione successiva e' prevedibile.

A dieci anni avevo gia' i cracker in odio. A dodici anni credo di aver smesso di mangiarli del tutto. A diciannove anni, quando ho iniziato a vivere da sola, non mi e' mai neanche sfiorata l'idea di comprare autonomamente un multipack di quelle sfogliette schifose e il sogno piu' frequente era che tutti i produttori fallissero contemporaneamente vaporizzandosi in una nube di bolle colorate, cosa che mi faceva svegliare serena e terribilmente in pace col mondo.

La settimana scorsa ero al supermercato, cercavo uno spezzafame per l'ufficio. Sono passata davanti alle confezioni di pane secco. A un certo punto, ho avuto l'impressione di essere osservata. Ed era vero, un pacco di cracker salati del mulino bianco mi osservava. Cioe', no, forse non mi osservava, ma avevo quell'impressione. Insomma, per farla breve, li ho comprati.

Oggi ero al supermercato, ho comprato un altro pacco di cracker da lasciare in ufficio. Li ho distrattamente dimenticati nella borsa e quando sono rientrata ho visto che erano li'.

Il cerchio si chiude. Ora ho in casa un multipack di cracker salati mulino bianco. Sto recuperando un cesto di vimini in cui riunirli per poi spargerli come fiches da gioco sul tavolo da pranzo. La mia casa e' un po' piu' casa e io ho di nuovo un punto di riferimento rassicurante. Ora devo solo smetterla con quei fastidiosi sogni in cui i produttori falliscono tutti contemporaneamente e si vaporizzano in una nube di bolle colorate, facendomi peraltro ancora svegliare serena (sono un'abitudinaria).

07 settembre 2008

The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Ubi

Chi mi conosce sufficientemente bene sa che mi porto appresso due grosse incapacita' che affliggono la mia quotidiana vita domestica: la prima, sono negata a fare dolci; la seconda, sono completamente mancante di pollice verde. No, anzi, peggio. Al posto del pollice verde ho un vuoto cosmico che il possibile risultato dell'esperimento ginevrino dei prossimi giorni in confronto e' un praticello fiorito.

Mentre sto faticosamente recuperando punti per cio' che riguarda la prima situazione (qui una felice testimonianza), la seconda ha prodotto intere generazioni di piantine moribonde che tornavano mestamente nella casa paterna gridando pieta' (dal momento che lo stress e la tensione nervosa sono oggi seri problemi sociali in tutte le parti della galassia, e' perche' questa situazione non si inasprisca che i fatti successivi verranno rivelati in anticipo. Le piantine si sono salvate tutte grazie alle amorevoli cure genitoriali e il successivo recupero punti sul secondo fronte ha permesso la sopravvivenza di un basilico di nome Ubi. Perche' permanga ancora un po' di senso del mistero, non verra' rivelato, per il momento, di quale nome esteso Ubi e' l'abbreviazione.)

E' per questa ragione che la commuovente storia che vi sto per raccontare intenerira' il cuore di grandi e piccini.

Un giorno in cui miei genitori erano venuti a farmi visita, mio padre rientro' con un vasetto bianco ricoperto di cellophane, da cui facevano capolino due o tre foglie timorose. Scartando la confezione, mi ritrovai faccia a faccia con una piantina verde e profumata. Io la guardai, lei mi guardo', o cosi' sembro' che facesse. Io pensai a quanto quella povera cucciola sarebbe resistita tra le mie mani. La piantina, per contro, si spavento' molto. Subito dopo mi resi conto che non si trattava di una lei, ma di un lui, un Ocimum basilicum, un basilico, insomma. Il mio nuovo basilico prese residenza su un davanzale senza parapetto, l'unico che avevo a disposizione.

Dopo qualche giorno di convivenza iniziai ad accorgermi che il basilico non stava bene. Piano piano, tutte le piantine che risiedevano nel vaso bianco iniziarono a perdere le foglie e a morire, una per una, inesorabilmente. Nonostante ricordare questi momenti mi rattristi tutt'ora, non voglio che questo vi impedisca di leggere cio' che sta per seguire, anche se probabilmente vi capitera' di trattenere un sospiro e qualche lacrima. In tutti i casi, in cuor mio ero rassegnata a una ennesima, bruciante sconfitta.

Ma poi successe quello che nessuno gia' piu' si immaginava. Una piantina, una sola piantina resistette all'effetto dei disagi e dei futuri strapazzi sofferti, nonostante non si avesse notizia di un imminente passaggio di alemanni. Una sola piantina lottava per la sopravvivenza contro ogni aspettativa. Mi innamorai della sua ostinazione e incoraggiai l'unico stelo rimasto. Dacche' questi incoraggiamenti quotidiani sembravano fargli forza, ritenni opportuno che avesse un nome, quantunque ciò che noi chiamiamo in un determinato modo, anche se lo chiamassimo con un altro nome manterrebbe pur sempre le stesse caratteristiche. Lo chiamai Ubaldo, soprannominato affettuosamente Ubi (ecco svelata, come anticipato, l'origine del nomignolo).

Ubi crebbe e mi riempi' di gioia, sfornando giornalmente una quantita' di nuove foglioline davvero invidiabili. Io presi ad abbeverarlo costantemente, ad accoglierlo in casa quando fuori infuriava la tempesta, a mettergli acqua abbondante insieme a mezza aspirina quando mi allontanavo per piu' di un paio di giorni. Infine, lo assicurai con una cordicella per evitare che le giornate ventose lo strappassero al mio davanzale.

Io e Ubi conviviamo felicemente da tre mesi e ci prendiamo cura l'uno dell'altra. Lui prosegue nella sua quotidiana fotosintesi e io gli auguro amorevolmente la buonanotte prima di mettermi sotto le coperte.

E' per questa ragione che oggi, nello scoprire questa notizia, sono rimasta profondamente scioccata. Ubi non ce la fara', il tempo che potro' passare con lui e' troppo poco, le sue ore sono ormai contate. Non resta che tenerlo all'oscuro della notizia e comportarmi come se nulla fosse. Ma, in cuor mio, so.

O natura, o natura
perche' non rendi poi
quel che prometti allor?

questo dramma e' farcito di citazioni, per il tuo unico e solo divertimento. Trovale tutte! In palio due foglie di basilico ogm-free.

06 settembre 2008

Crisi di mezza eta'

Questo blog, le fasi di un blog, le ha attraversate un po' tutte. All'inizio erano i video, le foto e le storielle buffe. Un posto dove si andava quando non c'era niente da fare o si aveva, appunto, tempo da perdere. Questo era il progetto originario di (tra quattro giorni) due anni e mezzo fa. Mi sono stancata presto, far rilassare le persone non e' poi cosi' facile e io, comunque, ho sempre avuto un po' la bizza di scrivere cose mie.

Dalla sua nascita, questo blog ha rischiato la chiusura tante di quelle volte che se volessi elencarle tutte mi ci vorrebbe un'intera moleskine. Ha rischiato di chiudere per stanchezza, per mancanza di tempo, per evitare l'imbarazzo di dire cose gia' dette e pure meglio. Questo blog ha rischiato il matricidio fin dalla nascita, povera creatura. E sono venute le pause di riflessione, i riavvicinamenti, il distacco le riappacificazioni. Questo blog, nel suo piccolo, io tutto sommato lo amo, sono orgogliosa di molte cose che contiene.

Ma tutto intorno e' aria di crisi, chi ha iniziato a scrivere piu' o meno nello stesso periodo, o poco prima, medita di sbaraccare tutto e di darsi all'ippica, che diverte assai di piu'. Quasi tutti i blog che seguo da tempo danno segni di cedimento emotivo, hanno la crisi di mezza eta'. Sforzandomi il giusto, posso arrivare a capirli, senza per ora seguirli.

Ho imparato a distinguere le categorie dei blog e a capire le motivazioni dei loro autori. Esclusi i blog tematici, i blog di nanopublishing, quelli che per i loro autori diventano un lavoro e poco altro, rimangono solo i blog personali, che si possono raggruppare in due categorie: quelli che l'autore scrive per se' e quelli che l'autore scrive perche' non ha di meglio da fare. A lungo andare, la distinzione diventa evidente: nel secondo caso, il blogger sostiene che non ha mai tempo per gli aggiornamenti e la qualita' di scrittura, cosi' come il numero dei post, subisce una brutta frenata. Anch'io avrei potuto essere assimilata a questa categoria, in realta' sono sempre oscillata tra le due parti della barricata. Il fatto che sia ancora qui pero' forse mi fa pensare che non sia del tutto cosi'.

Curiosamente, tutti i blog ascritti alla seconda categoria, se non muoiono prima, vengono ripopolati nel momento in cui l'autore, per qualche ragione, perde per un istante l'equilibrio. D'altra parte si sa, scrivere e' terapeutico, si tende a riordinare i pensieri quando sono in disordine. E sbattere in faccia al lettore ogni minuto quanto si sta bene, quanto e' bella la vita e quanto le cose ci stiano andando alla grande non e' solo un volersi far invidiare a ogni costo, ma e' anche un po' da esibizionisti. Per tutto occorre una misura, tanto per il pessimismo cosmico quanto per l'ottimismo universale. Stancano entrambi molto in fretta.

Poi capita di andare a leggere quello che succede in giro. Una volta erano le polemiche, e le polemiche ci sono ancora. Tanti blog sono pervasi da cultura televisiva, dove chi urla da' spettacolo, dove vige il sensazionalismo, lo scandalo a ogni costo. Le polemiche servono a passare un annoiato pomeriggio facendo zapping alla tv, perche' vedere la bassezza dell'essere umano medio ci interessa, ci intriga e ci permette di essere uomini medi che si sentono un gradino superiore a tutti gli altri uomini medi, mentre le sfighe altrui ci consentono di sopportare la noia e di pensare che menomale, c'e' anche chi e' piu' sfigato di noi.

Le polemiche una volta mi interessavano, volevo vedere chi sarebbe emerso e con quali argomentazioni. La retorica e' sempre stata uno dei miei interessi principali, capiscimi, una che si laurea in comunicazione e a cui vengono propinate tutte le sbrodolate linguistiche piu' improbabili si diverte a vedere anche queste cose. Ma ora mi e' venuto tutto a noia, nessuno sa piu' controargomentare, nessuno e' piu' capace di convincermi che vale la pena vedere come andra' a finire. E' solo la copia di mille riassunti, come diceva Bersani. Noiosa, ripetitiva, monotona, uguale. Cambia l'argomento e si ricicla il dibattito dell'argomento appena chiuso. Ora sono un po' stanca di farmi sciogliere i legamenti delle ginocchia a ogni stringa di testo. Le informazioni so dove cercarle, per il resto seguo le persone, le loro storie, i loro intrecci, le loro paure e le loro emozioni. Questo e' quello che mi interessa. Il resto mi sfiora il giusto e spesso sfocia in un mark as read (nei casi piu' frequenti, in un unsubscribe), o in un cambio di pagina piu' veloce rispetto alle statistiche di Nielsen.

E comunque, io, per le polemiche, ho studiato la perfetta soluzione win-win. Facciamo cosi': prendiamo una polemica grossa, facciamo votare la gente, contro VS a favore. Vince contro? Vince a favore? Chi se ne frega, alla prossima polemica si copiaincolla il vincitore. Si tolgono i dubbi velocemente con una risposta chiara, semplice e veloce. Si risparmiano ansie da prestazione e refresh compulsivi, ore di ticchettii furiosi sulla tastiera e scatafascio di cabasisi ai lettori. Non vi sembra un'idea geniale?

01 settembre 2008

In viaggio tra Dante e Ariosto

Il terzo libro preso in mano in tre giorni. Sono a pagina centocinquanta, credo che una vita sola non mi basti per tutto quello che vorrei leggere.

In fondo, la letteratura italiana mi e' sempre piaciuta, peccato per non avere avuto le spinte giuste, gli stimoli giusti, che sono quelli che fregano la maggior parte degli studenti uscenti dalle scuole superiori.

Ma io, che ho iniziato a studiare poesia a quattordici anni (perche' i promessi sposi, beh, se e' per la storia, ci possiamo anche guardare il film e pace li', diceva lui) e che sono rimasta incastrata ancora nella poetica del Dante (perche' si, Dante era un poeta, ma maledette analisi, non potevamo farcelo piacere come un libro di lettura?), insomma, dicevo, per me che sono cresciuta cosi', alla ricerca dell'estetica e del tratto umano, un libro cosi' mi ci sarebbe voluto anni fa. Forse avrei continuato per questa strada. Forse no, ma e' bello crogiolarsi nel dubbio, alla sliding doors, per intenderci.

Durante la breve pausa che mi ha permesso di inspirare ed espirare in modo regolare, qualcuno del palazzo di fronte giura di avermi sentito pronunciare le parole "incredibile, cazzo". Ovviamente, questo scenario non puo' che essere fittizio, in quanto il palazzo di fronte e' popolato da uffici e quando torno in genere sono tutti gia' belli che a spassarsela coi pargoli in salotto.

Io dico solo che studiare cosi' sarebbe stato fico. Mettetelo tra i libri di testo scolastici. Obbligatori. Per favore.

(no, lei non la conosco. No, non sono stata pagata per scrivere queste cose. Si', sono una letrice entusiasta, e allora? :P )