30 gennaio 2008

Agenda

Finito di pianificare alcune cosette, posso dare per certa la mia presenza al WebCocktail ravennate di venerdì, se siete da quelle parti passate a salutare che fa sempre piacere (e se non siete da quelle parti potreste anche venirci, no? :P)

UPDATE del 31/1: argh, purtroppo non ci sarò, mi spiace un sacco. Le mie scuse a chi ho mobilitato con molto anticipo, mi farò perdonare.

Indecisa invece se partecipare o no a State of the net, non tanto per i contenuti (almeno un paio delle conferenze previste per l'8 febbraio sarebbero estremamente interessanti per la mia tesi), ma perchè non so se riuscirò ad organizzarmi al meglio. Io comunque conto di sì. Nel caso, ci si saluta a Udine.
State bene.

Introduzione al web 2.0: libri e siti

I lettori abituali sono autorizzati a passare velocemente oltre e/o a segnarsi queste cose da una parte, che si sa mai, magari anche voi prima o poi vi troverete a dare suggerimenti ai vostri amici che vorrebbero cominciare ad esplorare la rete :)

Un altro post pensato per chi si avvicina per la prima volta ai temi del 2.0. Di seguito trovate quello che ho letto (o che sto leggendo, o che mi sembra buono per cominciare) e i blog che un anno fa mi hanno dato una mano a districarmi in giro per la rete. Se volete suggerirmi altro materiale nei commenti farete felici me e Marianna :)

Libri.
- La parte abitata della rete, S. Maistrello (una vera e propria guida della rete per i residenti e per i turisti del web)
- Blog Generation, G. Granieri (una bella panoramica sul mondo dei blog e sulle loro implicazioni)
- La coda lunga, C. Anderson (come le nicchie create dalla rete stanno cambiando la concezione dei mercati - da seguire gli sviluppi del suo nuovo libro in pubblicazione, Free)
- Wikinomics, D. Tapscott e A. Williams (utile punto di vista sulle nuove prospettive dell'economia legata ai wiki e alla condivisione della conoscenza)
- Web 2.0 – Le meraviglie della nuova internet, A. Dottavi (una guida pratica su quali sono e come si usano gli strumenti più comuni come Youtube, Flickr, Del.icio.us e altri)

Saggi.
In rete è possibile trovare i pdf di questi saggi, abbiate pazienza e googlate un po'...
- Lo sai quanto vale il tuo link?, G. Granieri
- Media sociali, N. Mattina
- The digitalization of word of mouth: promise and challenges of online feedbach mechanisms, C. Dellarocas

Blog.
Ok, ok, a che serve un blogroll se qui segno buona parte dei blog che leggo quotidianamente? Facciamo così, per cominciare ho iniziato a seguire quelli che trovate nel blogroll del mio (ormai ex) corporate blog. Da questa lista sono esclusi molti dei blog che nel mio reader stanno nelle categorie friends/relax. D'altra parte è così (cit. raffin.).

28 gennaio 2008

Introduzione al web 2.0

Ho recentemente avuto il piacere di rientrare in contatto con un'amica ed ex collega di lavoro che si sta avvicinando ai temi del 2.0 e che mi ha fatto un po' riflettere quando mi ha chiesto se le posso raccontare tutto ciò che so sull'argomento web 2.0 e aziende. Insomma, pensandoci ho scoperto che non so neanche da dove cominciare, nonostante effettivamente la relazione tra web e azienda sia l'argomento della mia tesi...

Così ho pensato di fare qualche post a tema sostanzialmente per due ragioni: la prima, per postare qui un'introduzione che avevo pensato tempo fa, per suggerire libri e condividere link, che possono essere di aiuto anche ad altri; la seconda, perchè credo molto nello strumento blog e sono sicura che qualcuno più competente di me che si trovi a passare di qui per caso avrà voglia di lasciare qualche traccia, qualche annotazione che ho dimenticato o a cui semplicemente non ho pensato. E per questo vi ringrazio in anticipo :)

Un'introduzione al web 2.0

Tempo fa girava in rete un meme. La domanda era: cos'è per te 1.0 e cos'è 2.0. Generalmente, gli utenti associano un oggetto o un'applicazione a 1.0 quando è statico, vecchio, poco interattivo e poco socializzante (radio vs last.fm, tv vs webtv). Fin qui niente di strano. Ma se poi andiamo a vedere che succede proseguendo con il gioco scopriamo che 1.0 è associato a qualcosa di vecchio (obsoleto) oppure tradizionale (videoregistratore vs lettore dvd, sci vs snowboard, piatto tondo vs quadrato). Il 2.0 è cool, non importa cosa sia in realtà, agli abitanti della rete spesso non importa quali sono i paletti che delimitano i due mondi.

Così il 2.0 diventa un feticcio, un etichetta da appiccicare a qualcosa di nuovo. Un esempio da ricordare sono le critiche ricevute dal Corriere che secondo alcuni si è definito 2.0 senza in realtà averne le caratteristiche. Il problema dunque è che tendiamo a definire tutto 2.0, senza badare troppo a quello che significa.

Ho provato a usare qualcosa di 2.0 come il blog per chiedere ad altri utenti cosa significa per loro questa espressione. Si è posto l'accento sul contenuto generato dagli utenti, che vede i fruitori dell'informazione diventare soggetti attivi nella produzione e nella diffusione, per poi definirlo attraverso quattro parole chiave: condivisione, collaborazione, partecipazione e personalizzazione, aggiungendo il fattore chiave della semplificazione delle interfacce. In tutte le proposte, la tecnologia ha un ruolo tutto sommato marginale, un "facilitatore del cambiamento" più che l'oggetto stesso della rivoluzione. L'accento è stato spesso posto sul fattore sociale. I miei commentatori non hanno tutti i torti, direi, ricondurre il 2.0 alla sola tecnologia potrebbe portarci a voler distinguere i servizi attraverso cavilli sempre più piccoli, fino a farci perdere l'evoluzione in atto. Il web 2.0 diventa dunque fenomeno più ampio, che prevede un'evoluzione sociale dei comportamenti e degli atteggiamenti. Non si parla più di applicazioni 2.0, si parla di un atteggiamento 2.0 che implica un nuovo rapporto con l'ascoltatore, un trattamento da pari, una voglia di confronto e di conversare, per migliorarsi a vicenda. Una soluzione per fare in modo che il risultato sia qualcosa di più ampio della somma delle parti.

25 gennaio 2008

Bimbi e junk food

Stamattina ho aperto last.fm. Un banner ha attirato la mia attenzione: c'era l'inizio di un video e l'invito a vederne la fine sul sito di British Heart Foundation (questa la sezione dedicata ai giovani). Incuriosita, ho cliccato e ho visto questo video in cui due bimbe, una magra e una "ingrassata" artificialmente da liquidi idealmente composti da junk food dovevano compiere il medesimo percorso a ostacoli. Il sito riporta poi a un gioco, in cui il/la piccolo/a protagonista compie un percorso in venti tappe. Il gioco è disseminato di informazioni e consigli, si comprano merendine e si fanno test. Il task finale strizza l'occhio alla sicurezza dei bambini online, riepilogando le informazioni personali lasciate qua e là per il sito e invitandoli a fare attenzione nel fornire i propri dati.
Insomma, la scoperta di questo sito è stata una piacevole sorpresa. E sono dell'idea che un contributo visivo e interattivo di questo tipo possa essere un valido supporto alla formazione alimentare dei bambini.

Code lunghe e gelati gratis

In questo periodo non sono solo presa da discorsi sulla coda lunga, ma anche dai nuovi assunti di Anderson riguardo al concetto di free, oggetto del suo nuovo libro in uscita.
Ma stamattina ho letto questo articolo che spiega come, sbarcato in Indonesia, McDonald's si sia trovato di fronte al problema di vendere i suoi gelati a una popolazione in larga parte intollerante al lattosio. Che ha fatto? Ha distribuito gelati gratuitamente. A lungo. Di fronte al fascino del "gratis", gli indonesiani non hanno saputo resistere e hanno iniziato a mangiare gelati, pur con tutti i problemi legati alla loro digeribilità. Il risultato della prolungata esposizione al lattosio è stato una una riduzione dell'intolleranza, al punto da permettere a McDonald's di riaprire il mercato in quel paese.
Alle volte mi chiedo che prezzo dobbiamo pagare per la globalizzazione e fino a dove si possono spingere le strategie di marketing.
(via)

23 gennaio 2008

Buon noncompleanno, Tdp

Miei cari adepti,

In occasione del noncompleanno di questo blog, ho il piacere di commentare alcune tra le chiavi di ricerca più gettonate, alfine di chiarire alcuni vostri dubbi evidentemente esistenziali. Ben lieta di darvi una mano, nel mio piccolo.

Per chi si chiede quali siano le "cose da fare e da vedere nella vita": ce ne sono a migliaia, ma ti posso consigliare di andare sulla riviera ligure, di provare il sushi e di imparare a fare le tagliatelle a mano. Ognuna di queste cose ha un suo perchè, fidati.

Per te che cerchi "da massimo a pina", ecco, non ho ben capito cosa intendi, ma una delle vie possibili è mattarello, mercalli, misogino, moccolo, napalm, nettare, nicosia, notturno, opossum, otaria, pasta, pelandrone.

A te, giovane amico, che ti domandi "di cosa parlare con una ragazza al primo incontro", ecco, non parlare, portale un diamante grosso come una noce. Lei capirà, fidati.

Per te che cerchi "dove si fa la residenza provvisoria a bologna": in comune, nell'ufficio di quartiere. Lieta di esserti stata utile più dell'ufficio informazioni istituzionale.

Se sei tu colui che ha digitato "esibizionismo in rete" sappi che sei nel posto giusto. Yeah.

Se invece sei quello che fiducioso voleva la risposta a "fidanzata triangolo" posso suggerirti che in generale le ragazze e le avarie dell'automobile vanno poco d'accordo. Fai un po' tu i tuoi conti.

Tu che sei arrivato qui cercando "il creatore di matrix è l architetto di chuck norris" ecco, sappi che sei un mito. Ma un'altra volta metti l'apostrofo che sta meglio.

Se quello che vuoi sapere è come "spendere 200 euro", mandami una mail fiducioso e io ti indicherò le poche cose che è possibile regalarmi con cotanta cifra. Grazie in anticipo.

Tu che cercavi "le 13 personalità" sappi che insomma, sapevo di essere un po' schizofrenica, ma tredici, suvvia, tredici sono difficili da gestire. Taci. Tocca a me. No, su. Stai ferma. Insomma! C'è gente che vuole dormire qui! Zitta, cornacchia. Mannaggia a voi.

Tra i miei preferiti, l'eroe di "test antidroga con campioni di capelli, saliva e sudore". Hai fatto una bella cazzata eh? Mannaggia. Spero ti vada di lusso, fratello.

Per chi vuole sapere se "è corretto dire atterrito all'idea o dall'idea ?" ecco, giuro che nella mia infinita scibilità non ci sono ancora arrivata. Forse i miei lettori possono risolvere il tuo dubbio. Aiuto.

Anche tu tesorino che cerchi "libri per tesi", sarebbe il caso che specificassi un cicinin di più che così se permetti è un po' vago. Io di chimica molecolare ne so ben poco, anche di termodinamica. Su, domanda al sior gugol qualcosa di più preciso.

Palma d'oro a una frase digitata in diretta lloogg questa sera, ma giusto perchè gli voglio bene e comprendo le sue difficoltà di comunicazione...

Considerazioni sul rapporto tra aziende e conversazioni

Ciò che segue è un prodotto lungo e tutt'altro che originale di una serie di pensieri e considerazioni sul rapporto tra aziende e conversazioni. Abbiate pazienza, mi serve per mettere in ordine le idee in vista di un progetto più ampio (leggasi: tesi)

Qual è il fattore più lampante che emerge da tutta questa fuffa di web 2.0? Le persone, le loro storie, i loro interessi, le loro relazioni. Il prodotto più evidente di questo fenomeno sono sicuramente i blog (anche i social network, ma per ora sorvolerò). Dopo aver permesso alle persone di pubblicare liberamente idee e contenuti, permettendo allo stesso tempo un confronto diretto e paritario, i blog hanno lentamente allargato la loro sfera di influenza, fornendo preziosi contributi alla conoscenza, alla politica, al settore tecnologico e dell'informazione, ma anche alle aziende.

I blog aziendali sono al centro di un ampio dibattito sulla loro ragione di esistenza: come può un'azienda conversare liberamente senza rivelare all'esterno dati preziosi che fanno parte del suo core business? A mio modo di vedere, questo è un problema soprattutto di atteggiamento italiano. I blog aziendali sono all'estero una realtà in espansione che in Italia fatica ad affermarsi, un modello ripreso solo timidamente dai pionieri del Bel Paese. In Italia siamo scarsamente propensi a collaborare, siamo pregni di una cultura che riconduce all'assunto "informazione è potere", siamo così arroccati sulle nostre posizioni che il concetto di "scambiamoci un'idea anzichè una mela, perchè ne avremo due ciascuno" ci sembra così un gran bell'assioma che ci guardiamo bene dal metterlo in pratica.

Il blog è apertura pressochè completa. Ma teniamo presente che in un blog personale, benchè io possa parlare di me stessa, non sono obbligata a rivelare dettagli intimi, ma non per questo mi è preclusa l'opportunità di conversare e confrontarmi. A domande dirette, posso decidere di rispondere direttamente, rispondere indirettamente o glissare. D'altra parte, io non devo vendere niente, devo solo mantenere le mie relazioni con l'esterno. E così un'azienda, per il fatto di avere un blog aziendale, non è costretta a rivelare segreti indispensabili al mantenimento del core business, ma può rilasciare all'esterno una quantità considerevole di informazioni che le servano a mantenere le sue relazioni con il suo pubblico. Ma l'azienda è sul mercato per vendere, a domanda diretta non può mantenere il mio stesso atteggiamento. Solo che l'azienda ha due strumenti importantissimi che io non ho: uno, interi dipartimenti di PR di cui si serve in caso di difficolta e due, soprattutto, le persone che ci lavorano. Essere dipendenti di un'azienda non ci fa smettere di essere persone e con i dipendenti giusti (vedi entusiasti e con buona capacità di comunicare) rispondere a domande dirette non dovrebbe essere un gran problema.

Consideriamo quindi un altro fattore. Io posso tenere un blog personale e rispondere a domande che mi riguardano perchè, presumibilmente, sono la persona che mi conosce meglio. Dunque posso proporre il mio punto di vista più in fretta e in modo più preciso rispetto a quanto possono fare gli altri. Ciò non significa fingere che non esistano altre persone che la pensano diversamente. Se ne ho voglia, posso confrontarmi con loro e sperare di crescere un po' di più, come persona. Se il mio business consistesse nella mia persona, il fatto di conoscere le opinioni altrui per migliorare lati di me, per dare agli altri ciò di cui hanno bisogno o per anticipare tendenze future e bisogni latenti, sarebbe per me un enorme vantaggio rispetto alla concorrenza. Se tutto ciò è vero, forse a maggior ragione il discorso è valido a livello aziendale.

Ma qui si delinea un evidente paradosso. Spesso l'azienda non è il soggetto che conosce meglio i suoi prodotti, perchè li fabbrica (o li eroga, nel caso dei servizi) ma non li usa. Per quanto un'azienda creda di aver dato il meglio di sè, non sarà in grado da sola di capire se il suo è un buon prodotto, ma agirà come se lo fosse, arroccandosi sulle proprie posizioni quando il prodotto viene additato nei suoi lati negativi. Il perchè lo faccia è chiaro, ha un interesse economico nel vendere la propria infallibilità nella produzione, pena la perdita di una parte del mercato.

E qui entrano in gioco gli utenti, che rispetto all'impresa hanno un doppio vantaggio: conoscono meglio il prodotto e non hanno nessun interesse nel parlarne bene, l'unico interesse che hanno è mantenere le relazioni con l'esterno. Come dice giustamente Weinberger, la credibilità che essi hanno sta nel loro interesse nella conversazione, ma anche nella loro ammissione di fallibilità. Sono esseri umani, e sono consapevoli che le loro opinioni non sono valide in assoluto. Per un'azienda, ammettere la fallibilità di un progetto o di un prodotto è un rischio che può comportare la perdita di generose quantità di denaro.

Cos'è in grado di cambiare la cultura della rete? Gli utenti attribuiscono credibilità all'essere umano, e conversano solo per il gusto di partecipare alla conversazione. D'altra parte, sanno che l'essere umano è fallibile, e sono disposti a perdonarlo proprio in funzione della sua fallibilità. Ora, se come ho scritto all'inizio il fattore principale che emerge prepotente nella fuffa 2.0 è la componente umana della rete, perchè dovrei rifiutare a priori l'ingresso nella conversazione alle aziende che si mettono sul mio stesso piano, pur ammettendo la loro fallibilità? In fondo, ciò che noi ci ostiniamo a chiamare "impresa" è solo un insieme di esseri umani organizzati e fallibili.

L'atteggiamento tutto italiano che vede aziende e consumatori contrapposti è il risultato di qualcosa che le aziende ci hanno insegnato. "E' tuo, gratis", ma in grigino corpo 8 c'è l'inghippo, sicuramente. Le aziende hanno addestrato i propri consumatori a cercare la fregatura e ora i consumatori antepongono un atteggiamento critico a qualunque cosa sia di sapore vagamente aziendale. Ma se le aziende insegnano ai propri consumatori che non hanno niente da temere, aumentando la trasparenza, forse i consumatori possono conseguentemente modificare il proprio atteggiamento nei loro confronti.

22 gennaio 2008

Che succede fuori dall'orticello?

Il piccolo esperimento di Tommaso mi fa stupire per l'ennesima volta di come le aziende italiane si stiano dimostrando sempre più ai margini della conversazione. Qualche giorno fa pensavo alla sensazione che si prova ad uscire dall'Italia (anche solo leggendo blog stranieri), si viene letteralmente presi a schiaffi dalle idee e dalle novità, come se la stagnante staticità culturale fosse un lungo sonno dal quale ci si sveglia. Le dinamiche in rete cambiano a velocità esponenziale rispetto all'adeguamento della cultura aziendale, è ovvio, ma le aziende scelte da Tommaso sembrano non essere estranee a queste stesse dinamiche, qualcosa dovrebbero avere imparato. La nostra cultura si è sviluppata, nel bene e nel male, tra amici di amici. Il problema è che in tutto questo far precedere il nome da titoli e amicizie, la persona rischia di perdersi e le idee di venire continuamente accantonate per chiudersi nella propria rassicurante staticità.

Ho la netta sensazione che modificare l'immobilismo culturale italiano sia più faticoso di quanto mi aspettassi. E che l'Italia continuerà ancora a lungo ad essere terreno poco fertile per l'innovazione, a causa di una cultura che non ha un reale interesse a cambiare.

Drammi moderni

Posso accettare che il governo cada, ci sono abituata. E neanche il fatto che si prospetti un nuovo 11 settembre mi preoccupa più di tanto. Ma che la Bruni non possa andare in India perchè lei e il Sarkò non si sono ancora sposati no, questo sinceramente mi pare troppo.

20 gennaio 2008

Girl Geek Dinner Italia - secondo appuntamento

Segnalaziò: la prossima Girl Geek Dinner Italia sarà il 29 febbraio a Milano. Come cos'è?! Clicca qui, via.

Alla prima non c'ero, dunque stavolta vedrò di non mancare...

18 gennaio 2008

Italia.it chiude...

...e nessuno lo dice. Giusto perchè si sappia. Grazie Antò.
(cinquemilioniottocentomilaeuri, è bello ricordarlo)

Due chiacchiere con MrDopplr/2

Seconda parte dell'intervista a Matt Biddulph, CTO di Dopplr (se ti sei perso la prima parte, guarda il post più sotto o, se proprio sei pigro, clicca qui)

A maggio Matt lascia il suo lavoro come freelance e inizia a lavorare a tempo pieno per Dopplr, mentre alcuni investitori che credono nel progetto decidono di versare un piccolo capitale. La somma che mettono a disposizione servirà per comprare i domini e per pagare le spese vive. Così come i due ragazzi lavorano all'inizio semplicemente perchè credono nel progetto e nei valori dell'open source, anche gli investitori versano il loro contributo semplicemente perchè credono nel valore della community. Matt ammette candidamente che alcune scelte, come quella di permettere ai visitatori di registrarsi oppure di utilizzare un openID, sono state fatte più per supportare l'idea che per i vantaggi reali.

Nei mesi successivi, il numero di utenti di Dopplr cresce esponenzialmente, grazie al passaparola della comunità. La differenza tra farsi pubblicità e lasciare che gli utenti ne parlano è sostanziale, ti fa capire quanto le persone apprezzino ciò che hai creato e desiderino sentirsi parte attiva della comunità stessa. Ti fa sentire un buon membro di una comunità che hai contribuito a migliorare.
Dopplr esce dalla fase di beta testing e viene presentato ufficialmente a Le Web 3 a Parigi, nel dicembre del 2007.

Verso la fine della chiacchierata faccio a Matt la domanda che ti rivolgono sempre in Italia quando pensi ad una nuova applicazione: ma qual è il modello di business? Matt risponde che in realtà non c'è, ovvero che si può pensare di monetizzare il sito in molti modi. Il suo preferito è il Flickr model, con cui si può accedere liberamente al servizio (nella sua versione base) e avere features aggiuntive dietro il pagamento di una quota annua ridotta. La pubblicità, come idea, gli piace meno. Allora gli ho chiesto com'era possibile che alcune persone avessero deciso di investire in Dopplr senza un modello di business o un business plan e lui mi ha detto che incredibilmente quando decidi di inserirti nel settore dei viaggi, che è insieme a quello dei libri il mercato che si è sviluppato di più online, le persone pensano che in qualche modo vedranno il ritorno del loro investimento, anche se ancora non sanno bene come. D'altra parte, l'applicazione è molto specifica e attualmente non richiede somme che vanno aldilà della manutenzione dei server e degli stipendi di chi ci lavora; Matt è comunque convinto che se fai qualcosa in cui credi, “Getting the money is a consequence and not the reason you do it".

Per quanto riguarda l'apertura verso l'esterno, Matt ribadisce il suo sostegno all'open source: non c'è nessun vantaggio reale nel condividere i codici o i dati, ma è un modo per avviare il mercato in quella direzione e in qualche modo il mercato ti premierà per aver aperto nuove opportunità. Un fatto che considero rilevante per la privacy è che alla chiusura dell'account di Dopplr, i dati vengono restituiti, perchè Dopplr beneficia dei dati che decidi di mettere a disposizione ma sono comunque privati ed è tuo diritto riaverli (fatto che può sembrare banale e scontato ma che molte volte genera equivoci).

L'ultima domanda riguarda il futuro di Dopplr. Matt è un po' imbarazzato a parlare del futuro perchè, come mi ha spiegato all'inizio, il progetto procede con scadenze poco più che settimanali ed è difficile pensare a cosa succederà nei prossimi mesi. In tutti i casi, mi risponde che vorrebbe procedere verso l'integrazione, strada già intrapresa con Facebook, in cui è attualmente possibile inserire il badge di Dopplr nel proprio profilo. Integrazione dunque, ma se con i cellulari oppure facendo in modo di inserire i viaggi via IM, ancora non si sa.
Matt conclude la sua chiacchierata rispondendo ad una domanda di Bru: che consiglio daresti a chi decide di entrare nel mercato? Matt è sintetico e ha le idee molto chiare:

- fai ciò che conosci bene
- fai qualcosa di cui tu saresti il primo utilizzatore
- non passare mesi a sognare quello che vuoi fare, fallo e basta, anche se si tratta di una semplice mashup in grado di incrementare il valore di ciò che già esiste
- mantieni buoni contatti con San Francisco, se sei a Londra, e con San Francisco attraverso Londra se sei in Italia... San Francisco è un'ottima palestra per le idee e un buon luogo per farle circolare

Chiudo con la frase che mi ha colpito di più. Dopplr non ha niente a che vedere con i viaggi reali, è bello perchè è un database of intentions. Se non hai ancora un account (il che a questo punto mi pare difficile, detto fra noi), nel frattempo puoi dare un'occhiata al mio ;)

17 gennaio 2008

Due chiacchiere con MrDopplr/1

Mercoledì, ore diciotto e trenta. Anzi, diciotto e trentacinque, siamo già in ritardo. Come si chiamava il pub? Prague, ok. Allora l'abbiamo passato, era quello con l'insegna rossa. Sì, è quello.
Entriamo. Ad un tavolo c'è un tizio con gli occhiali, un macbook e un cappuccino che ci fa un segno con la mano. Ecco come ho conosciuto Matt Biddulph, il CTO di Dopplr.

Ci sediamo, due birre, blocco e matita e chiedo a Matt se mi può raccontare un paio di cose riguardo a questo servizio. In un'ora di chiacchierata, Matt mi racconta un po' di tutto, da com'è nata l'idea a qual è il famoso modello di business.

Dopplr nasce da un'idea di Marko Athisaari (qui la sua presentazione di Dopplr) ed è stato sviluppato da Matt Biddulph, che all'epoca lavorava come programmatore e aveva avuto esperienze con BBC e altre grosse aziende e a livello grafico da Matt Jones, che lavorava per Nokia come product designer. L'idea era piuttosto semplice: creare una piattaforma di social network specificatamente dedicata a chi viaggia frequentemente. Dopplr avrebbe risolto il problema di chi si sposta spesso per lavoro, ovvero di far conoscere alla propria lista di contatti dove si sarebbe trovato e quando, in modo da aumentare la possibilità di contatti faccia a faccia con altri che si sarebbero trovati nello stesso luogo. I problemi principali erano legati alla dimensione del pubblico che Dopplr avrebbe avuto: non erano sicuri che un servizio così specifico potesse essere un valido servizio di per sé, ma che forse sarebbe dovuto essere parte di qualcosa di più grande (a feature of a bigger service). Ma l'idea era buona, così Biddulph e Jones si sono convinti che Dopplr sarebbe stato parte di un servizio più grande in senso lato, il web.

All'inizio del 2007 i due si incontrano durante un weekend e in pochi giorni raffinano l'idea, si fanno un'idea di come sarebbe stato il design e di come avrebbero dovuto organizzarsi per il lavoro. Si danno obiettivi a breve scadenza, pensano al lavoro materialmente realizzabile nelle settimane successive e lavorano per gradi, aggiornandosi di persona ogni poche settimane. Nel frattempo, Matt Biddulph lascia il suo lavoro e comincia ad accettare progetti come freelance, il che gli consente di organizzare meglio il proprio tempo e di viaggiare attraverso l'Europa e gli Stati Uniti. Matt sostiene che la tecnologia ha favorito a tal punto il suo stile di vita perchè gli ha consentito di non essere mai presente fisicamente, con una connessione a disposizione poteva lavorare e contemporaneamente vivere in luoghi diversi, utilizzando il suo tempo libero per sviluppare Dopplr.

A marzo la prima versione del servizio è pronta. Per il beta testing vengono selezionate venti persone in grado di fornire feedback utili e di parlare del prodotto. A loro vengono spediti inviti personali, con l'opzione di poter a loro volta invitare altre due persone. Dopplr viene accolto con entusiasmo, Matt inizia a presentare il prodotto alle conferenze e tanto le richieste di inviti quanto i feedback ricevuti eccedono spesso la capacità di gestione. Il capitale investito è ancora minimo e consisteva nel noleggio delle strutture per i weekend in cui si lavorava faccia a faccia.

Fine prima parte

14 gennaio 2008

Un post ancora da scrivere

Ci sono dei giorni in cui ci si sente irrimediabilmente attratti dallo scrivere qualcosa di vagamente intelligente. Ebbene, caro lettore, dal momento che non ti trovi su un blog serio, non correrai di certo questo pericolo.

Per quanto tutto ciò ti possa sembrare ridicolo, stamattina pensavo. Sarà la pioggia, sarà la costrizione di fare qualcosa che non ti entra nella testa, sarà una serie di eventi che ti hanno travolto e che ti lasciano poco spazio per ragionare, in un modo o nell'altro, fattostà che stai davanti ad una finestra bagnata, con la matita tra le dita e un foglio bianco davanti. Bianco, non c'è che dire. Assolutamente bianco. Allora rigiri la matita tra le dita, la passi nell'altra mano, la mordicchi, la rovesci. Predi il foglio tra le dita, arricci un angolo. Lo giri dall'altra parte, è bianco anche lì. Allora appoggi la matita in alto a sinistra e tracci un segno. La mente vaga per altri lidi. Fuori le nuvole scorrono e si accavallano. Tu cambi posizione sulla sedia. Il barattolo sul tavolo ha una forma stranamente attraente ma contribuisce ad annullare ulteriormente l'abbozzo dei tuoi pensieri. Il tuo cervello è in fase beta, anzi, è ancora in alfa. No, è ancora non pervenuto.

Pensi a casa. Pensi a qual è la tua casa. Pensi al concetto di casa. Pensi a cosa ci dev'essere dentro a una casa. Niente, le immagini non ti vengono, il risultato è sempre lo stesso: errore 404, collegare il cervello al dispositivo, il sistema non riconosce i driver del cervello.

Fantastico, stamattina dovresti lavorare, anzi lavorare duramente, anzi dovresti avere giornate con più ore, ecco. Le ore sono sempre stramaledettamente poche. A chi devo rivolgermi per modificare il contratto? I minuti passano, la candela ondeggia, ci sarà uno spiffero.

Ti stai chiedendo come finirà, questa storia. Te lo dico io, come finisce. Finisce con una musica in sottofondo che ti mischia le emozioni, un foglio ancora bianco e un post vagamente intelligente ancora da scrivere.

11 gennaio 2008

Dei risvolti negativi della coda lunga

Vi ho sentiti. Tutti lì a osannare da mesi i prodigi della coda lunga. Tutti a sostenere il modello, nessuno che muova una critica nei suoi confronti. Ebbene, se devo essere la prima a farlo, lo farò.

Forse non ci avete mai pensato, ma la coda lunga è ciò che attualmente provoca i maggiori danni a livello di comunicazione interpersonale tra uomo e donna. Tralasciando tutti i momenti romantici in cui è possibile gambizzare il romanticismo femminile estraendo uno dei concetti della coda lunga a caso, il problema principale è legato principalmente a quel settore cui tanto sembra aver dato, ovvero quello musicale.

Giovani e meno giovani si ricorderanno dell'epoca in cui i ragazzi si dividevano in due grandi categorie: Beatlesiani Vs Rollingstoniani. Erano i bei tempi in cui il ragazzetto di turno che intortava la squinzia di turno aveva la possibilità di indovinare nel 50% dei casi i gusti della sua bella. Se attaccava bottone con la domanda "che musica ti piace" e disgraziatamente la donzella era della fazione contrapposta, il giovine virgulto poteva comunque puntare su quei tre/quattro ritornelli che, anche se di partito avverso, potevano permettergli di concludere la serata a pieno regime. Insomma, nel frasario era possibile recuperare un ritornello qualunque dell'odiato gruppo rivale e, anche se con la pinza al naso, due picconate entro la fine della serata non erano negate aprioristicamente a nessuno.

Prova ora a guardarti intorno e a vedere l'enorme devastazione provocata dalla coda lunga.

Ragazzetto: Ciao, che musica ti piace?
Squinzietta: Principalmente post rock indie lo-fi, e a te?
Ragazzetto: Uhmmmm, si anche a me più o meno. Conosci i Belle and Sebastien?
Squnzietta: No, non hai capito niente, io sono più da Simply Plan.
RagazzettoImbarazzato: Aaah, sì, quelli di... quella che fa... mmm...
SquinziettaScocciata: ...
RagazzettoInBianco: Ok, è stato un piacere.
SquinziettaCheNonTeLaDa: Ciao.
Ecco, questo mi sembra un dramma moderno da non sottovalutare. Il rovescio della medaglia è che ho conosciuto qualcuno che conosce i Wallflowers e dunque tocca sposarlo.

08 gennaio 2008

Acqua sotto i ponti

Da un po' non riapro questo blog. Da quando la mia vita ha subito una brusca svolta e io mi ritrovo bloccata a cercare di scrivere qualcosa di utile. Nell'ultimo periodo sono stata in semi-isolamento, il che aiuta le seghe mentali ma annulla la capacità di essere sociali. Due ottime cose, insomma.
Il mio isolamento ha prodotto una teoria, di per sè abbastanza stupida, ma quel che è peggio, completamente inutile. Riporto qui di seguito.

Recentemente mi sono trovata a pensare alla relazione tra barcamp e blogosfera, a partire dai motivi per cui ritengo che il modello comune in Italia non sia calzante.

La connessione più ovvia è: le notizie sui barcamp spesso si diffondono sui blog e dunque gli individui che più probabilmente avranno non solo accesso alle informazioni ma anche interesse sono probabilmente gli stessi blogger. Difatti, in Italia recentemente il barcamp è diventato più un aggregatore vivente che un confronto per la diffusione di nuove idee. Quando a un barcamp incontriamo qualcuno che finora avevamo solo conosciuto telematicamente (dalla sola lettura del blog alle interazioni più strette via IM) il meccanismo è di aggiungere valore della relazione umana alla nostra identità virtuale, o come dice Granieri (in Blog Generation) il point of presence in rete che racconta la storia intellettuale e permette di entrare in relazione attraverso il confronto. Ma non è solo questo.

I barcamp raccolgono i blogger come se ci si trovasse immersi in un aggregatore fisico, vivente. I blogger raccontano, attraverso gli speech, qualche argomento di loro interesse che intendono approfondire. Come se facessero un post, insomma. Dal canto loro, gli ascoltatori propongono argomentazioni, approfondimenti, spunti di riflessione, domande. Come nei commenti, insomma.

Allora, è possibile considerare i barcamp come se fossero un live-blogging, non inteso nel senso tradizionale, ma in senso letterale? Un modo di bloggare live, in diretta, con un feedback diretto?

Perchè se così fosse, interventi come quelli di yoo+ ai vari barcamp, ad esempio, si potrebbero considerare live corporate blogging.

L'isolamento mi fa male, eh.